Gian Piero Ventura

(La Repubblica – E. Currò) Il 13 novembre 2017 resterà nella storia del calcio italiano come la data della grande disfatta: più disastrosa, nella graduatoria popolare della vergogna, delle due Coree ‘66 e 2002, di Stoccarda ‘74, di Johannesburg 2010 e di Natal 2014, prodromi gli ultimi due di questa discesa inarrestabile. Il tracollo è solo in apparenza pari a Belfast 1958: nel frattempo il Mondiale è diventato sempre più ecumenico e 60 anni dopo accoglierà 32 squadre. La Nazionale non ci sarà: starà a guardare Islanda e Panama e la Svezia, assassina solida quanto priva di picchi tecnici. La rimonta, dopo l’1-0 incassato all’andata a Solna, è rimasta nelle parole. L’Italia di Ventura e Tavecchio ha sfiorato almeno 4 gol nitidi, poi si è arresa al catenaccio altrui, nemesi inimmaginabile e fine di un ciclo pasticciato. Milano col cuore in mano ha provato a trascinare la sua squadra ammaccata.

In sole 72 ore Ventura ha raschiato il fondo del barile. Vi ha pescato tre soluzioni d’emergenza, due delle quali – Jorginho per De Rossi e Gabbiadini per Eder – praticamente mai utilizzate e la terza – Florenzi per lo squalificato Verratti – gravata dell’incognita sulla tenuta fisica. La conservazione del 3-5-2 di Conte, rispolverato per lo spareggio, più che una sconfessione delle proprie idee era l’estremo ricorso alla memoria storica della squadra dell’Europeo. Col suo gioco sporco e col pressing iniziale, la Svezia ha ripercorso il fresco canovaccio: azzurri inibiti nel gioco a terra e pallone quasi sempre in aria. Via via, però, il sistema studiato per aprire varchi nella doppia muraglia del 4-4-2 di Andersson ha preso a funzionare. Prevedeva il passaggio obbligato dal regista oriundo Jorginho, che ha cantato Mameli e chissà se si è pentito di avere ripudiato la Seleçao. Allo smistamento immediato si offrivano i due esterni Darmian e Candreva, gli incursori d’area Parolo e Florenzi e poi Gabbiadini, trequartista-pivot per attirare marcatori e liberare il compagno allo scatto.

Il graduale rodaggio è stato preceduto da tre sospetti rigori, sui quali l’energico arbitro spagnolo Lahoz, principe dell’ammonizione, ha ritenuto di sorvolare: un contrasto di Augustinsson su Parolo e due manate di Darmian e Barzagli. L’infortunio al ginocchio di Johansson, il goleador di Solna, ha favorito Jorginho, che ha smarcato per tre volte in area Immobile: girata sull’esterno della rete, cross basso con Gabbiadini in ritardo e poi destro alto di Candreva, ancora girata in corsa, smorzata dal portiere con salvataggio di Granqvist sulla linea.

Il fuoco, malgrado i dribbling mai riusciti di Candreva, si è acceso a fine primo tempo, con Parolo, Florenzi e Bonucci vicinissimi all’obiettivo. San Siro si è definitivamente infiammato dopo l’intervallo: per un’acrobazia al volo di Florenzi, per le mischie alimentate anche da Chilellini, per il gesto di Bonucci che ha gettato la maschera protettiva mentre De Rossi rifiutava di riscaldarsi sapendo che non sarebbe mai entrato: «Ma che entro io, dovemo vincere non pareggià…». Di assedio vero si trattava e le avventurose uscite di Olsen ne tradivano l’impaccio. L’ingresso di Belotti e di El Shaarawy ha plasmato un 3-3-4. Si avvicinava lo psicodramma. L’estrema mossa Bernardeschi mezz’ala. Un destro alto di Florenzi, un altro rigore reclamato da Belotti, un destro al volo di El Shaarawy respinto da Olsen, i 5’ di agonia supplementare, Buffon che avanza a saltare sui corner: sono le scene prima delle lacrime. Dentro il crepaccio spunteranno un nuovo ct, forse una nuova Figc. È l’ennesimo anno zero. Zero spaccato. Al sorteggio del Cremlino l’Italia non ci sarà. Zitti a Mosca.



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