Giampiero Ventura, otto mesi da ct: dallo scetticismo del dopo Conte all’etichetta di ct di un’Italia giovane.
«La gente mi ferma per strada e mi sprona: continua con i giovani, non ti preoccupare ».
Questo cambio generazionale deve riuscire: solo una volta, 60 anni fa, l’Italia ha mancato il Mondiale.
«Alle difficoltà sono abituato. Portai il Lecce dalla C alla A, il Cagliari in A dal disastro, il Torino in Europa in 3 anni. Era la stagione peggiore in cui prendere la Nazionale, ma mi sento nella mia normalità».
Di anomalo ci sono gli spareggi potenziali per la Russia: il 2 settembre in Spagna o i play-off a novembre.
«Intanto venerdì c’è l’Albania di De Biasi. La vittoria diventerebbe più importante, se la Spagna perdesse punti con Israele».
Si rischia di giocare in trasferta, come nel 2014 a Genova con Conte.
«A Marassi ero in tribuna. E a Marsiglia ho visto tre quarti del Vélodrome albanesi. Ma Palermo non ha mai deluso».
Se Tavecchio le proponesse anche la carica di direttore tecnico?
«Aspettiamo, verifichiamo. Da parte mia c’è disponibilità a 360 gradi. La presenza del dt accelera la crescita del gruppo. Ma la decisione spetta solo al presidente ».
Perché lei non si è limitato a fare il ct?
«Bisogna agire, niente routine. Era fondamentale incontrare tutta la serie A, e non per cortesia. Col porta a porta ho spiegato ai presidenti i vantaggi degli stage: per Nazionale, club e giocatori».
È rinata la Sperimentale, copyright Bearzot 1977.
«D’accordo che non sono di primo pelo, ma il mio riferimento è Lippi, tournée americana 2005. Convocò 6 futuri campioni del mondo: Grosso, Toni, Iaquinta, Barzagli, Oddo e Peruzzi. Più Chiellini».
Lippi, da dt in pectore, è stato il suo sponsor.
«Ero in macchina con mia moglie, quando mi telefonò. Marcello è mio amico da 50 anni, dalle giovanili della Samp. Sono stato suo compagno di camera e l’ho pure allenato, da giovane secondo alla Samp. Abbiamo spesso condiviso le idee, però mi ha colto di sorpresa ».
Siete ct colleghi: farete Italia-Cina?
«Suggestioni a parte, le amichevoli servono per costruire la squadra, preferibilmente contro le medio-piccole. In Italia, se perdi una partita, ti crocifiggono sulla pubblica piazza. Io, dopo Francia e Germania, mi beccherò Olanda e Uruguay, manca solo il Brasile. In campo i giovani possono perdere la bussola ».
Gli stage sono la ricetta per non bruciarli?
«Mi sono documentato: il modello è la Germania. Dopo la batosta del 2006, ottenne dai club che, per alcune ore al mese, si allenassero col sistema della Nazionale, così i giovani erano preparati al salto. Noi, che all’Europeo avevamo una squadra tra le più attempate degli ultimi 20 anni, siamo stati più caserecci. Mi hanno aiutato i presidenti».
Come?
«Qualcuno mi ha perfino detto di chiamarlo, se mi avessero messo i bastoni tra le ruote. Abbiamo acceso i riflettori. Gagliardini, dopo il primo stage, è passato dall’Atalanta all’Inter. E Inglese, Caldara, Conti e Petagna sono stati subito i migliori in campo».
Effetto Coverciano?
«La Sperimentale non è la vetrina per chi non ha spazio nei club. Però dà adrenalina, entusiasmo, autostima, occasioni. Se uno dopo la chiamata si atteggia a divo, non ha capito niente. C’è un’infornata di talenti vogliosi di imparare. E mai come quest’anno le squadre rimettono in rampa di lancio gli italiani».
Belotti-Immobile è la coppia simbolo.
«Li ho conosciuti bene al Toro. Per Belotti, una forza della natura, convinsi Cairo a spendere 8 milioni. Immobile attacca gli spazi come pochi. Il Torino lo rigenerò, come Cerci e Darmian. Noi allenatori siamo come i fruttivendoli: lucidiamo la frutta. Poi bisogna che dentro ci sia la polpa».
Si ritiene psicologo?
«Parlo molto coi giocatori. Il verbo chiave è capire: che cosa vuole da te l’allenatore, come ti devi comportare. Ma bisogna trovare la password: ho avuto grandi vittorie e sconfitte. Pochi giorni fa un ex calciatore, su cui scommettevo, mi ha detto: Mister, la sconfitta è stata mia».
La password di Verratti, dopo il trauma del Psg col Barça?
«Si chiama salute. Lui è un bene prezioso del calcio italiano. Metodista del centrocampo a tre, come con Zeman, oppure a suo agio in quello a due».
Lei disse di se stesso calciatore: tiravo troppo tardi.
«So dove volete arrivare. È giusto che io provi a recuperare il talento di Balotelli: non è un esordiente ed è un peccato perderlo. Ma le grandi squadre vincono con gruppo, regole e organizzazione. L’Europeo di Conte è figlio dell’organizzazione».
Selezionare o allenare?
«Grandi manifestazioni a parte, quale organizzazione puoi dare in tre giorni? Però da lavoro e serietà non si prescinde. Oggi il calcio presuppone allenamento duro, non come ai tempi di Skoglund, per chi se lo ricorda. Non puoi più andare a letto alle 5. Chi va all’Hollywood da domenica a mercoledì resta nel limbo. Chi sa gestirsi dura fino a 40 anni ».
La spina dorsale scricchiola.
«La BBC della Juve ha grandi stimoli. Barzagli, Bonucci e Chiellini, più Buffon e De Rossi, dimostrano ai giovani il valore di lavoro e fatica».
Attingerà agli oriundi, come Emerson e potenzialmente Diawara?
«Se ci sono ruoli scoperti e se si tratta di giovani. Ma devono meritarselo, non basta il passaporto».
L’Under 21 può vincere l’Europeo. Lascerà andare in Polonia tutti i migliori?
«Bisognerà ponderare. Io a Di Biagio voglio dare il massimo. Ma il 2 settembre, a meno di un mese dalle vacanze sacrosante per chi avrà giocato l’Europeo, c’è la Spagna. E dopo 48 ore, Israele. Se ad esempio mi servissero Rugani e Romagnoli, li avrei in forma?».
Chiederà garanzie sul calendario?
«Due sole giornate di campionato prima della Spagna sono poche: nell’amichevole del 1° settembre i francesi andavano al triplo. Ma anche le eliminazioni dei nostri club dalle coppe, magari dopo una tournée in Asia, producono danni economici superiori ai vantaggi immediati».
Il 15° posto nel ranking Fifa è sincero?
«No, ma col ranking facciamo i conti da anni: l’Italia, 4 volte mondiale, non era testa di serie nelle qualificazioni. Guai a ragionare da piccola squadra. Possiamo vincere ancora. Sta a me creare le condizioni».
Si è spaventato in Macedonia, sotto 2-1?
«Spaventato no. Dispiaciuto: il più brutto quarto d’ora della mia carriera. Ma quella rimonta è stata la svolta. Abbiamo cambiato modulo e capito che bisogna sempre essere squadra».
Che cos’è per lei la Nazionale?
«Ha scandito momenti della mia vita, dalla partita con la Giovanile in poi. Il gol del 4-3 di Rivera con la Germania: al bar di Cornigliano volarono in aria i ghiaccioli. E Gigi Riva trascinatore. E i pomodori al ritorno della squadra dal Messico: a Genova se ne parlò tanto. E il trionfo di Lippi. Il calciatore ha l’emozione di rappresentare il paese. Io spero di dare le emozioni che ho ricevuto, ma anche di viverle in prima persona».
A quale Italia vorrebbe che somigliasse la sua?
«Alla mia: so che devo metterci la faccia. Per le grandi imprese serve coraggio. A meno che uno non abbia Messi e Maradona: allora tutti possono allenare».
Ventura, ovvero la gavetta: 20 squadre e 22 città.
«Se sono arrivato qui, significa che il lavoro paga».
(La Repubblica – E. Currò/F. S. Intorcia)
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