È arrivato a Roma dopo quattro anni passati all’Inter, nell’ultima stagione non ha avuto lo spazio che forse meritava: Juan Jesus ora ha cambiato vita. In giallorosso ha ritrovato le giuste motivazioni, in Spalletti il maestro di calcio che sognava, nei compagni gli amici da difendere davanti a tutto e tutti.

Dopo l’infortunio di Mario Rui è in allerta per giocare esterno a sinistra?
«Per adesso no, ma se c’è bisogno io posso anche fare il terzino sinistro. Per aiutare la squadra ci vuole sempre un sacrificio in più. E nella difesa a tre mi sono sempre trovato bene».

Ha definito complicato l’ambiente milanese: i suoi compagni le hanno parlato di quello romano?
«Parlai di ambiente, ma non per dire che i tifosi sono cattivi. Mi riferivo ad una piazza in cui è difficile giocare. La Roma è una grande squadra con una grande piazza, anche i tifosi sono più caldi e quindi sicuramente non dovremo sbagliare mai. Quello che chiede il tifoso è solo impegno quindi questo non mancherà e con l’impegno le vittorie arriveranno».

Come gestisce la pressione mediatica e dei tifosi?
«La critica viene sempre da gente che vuole solo parlare per cattiveria. Io ad esempio in 147 partite all’Inter credo di aver più vinto che perso. Il problema è che i tifosi pensano che i giocatori siano delle macchine che non sbagliano mai, ma noi siamo fatti di pelle ed ossa e quindi sbaglieremo sempre».

La Roma l’ha costruita una base?
«Si, adesso è rimasto Manolas, ci sono Totti, De Rossi, Florenzi, è rimasto anche Nainggolan. Ci sono cinque o sei giocatori che sono qui da più di tre stagioni quindi c’è una base e con i nuovi inserimenti, tra cui il mio, possiamo fare bene».

All’Inter ha detto che voleva costruire la storia. Qui a Roma può promettere lo stesso?
«Il primo giorno che sono arrivato all’Inter ho detto questo, ma non sono riuscito a vincere nulla lì. È stata una grande esperienza personale perché sono cresciuto come uomo e calciatore. Adesso nella Roma è l’ora di fare la storia, abbiamo un grande gruppo e possiamo fare tante cose belle».

Dopo la Juve la squadra che più la preoccupa qual è?
«Il Napoli perché Sarri ha lavorato benissimo, ha fatto un gran lavoro riuscendo a tirare fuori il meglio dai suoi».

Quale aspetto l’ha colpita di più di Spalletti?
«É un professore. Mancini è più pratico, Spalletti invece ti fa studiare e ti insegna con calma le cose».

E cosa recepisce di più?
«Adesso per fare il salto di qualità ho bisogno di uno che sia un professore, che mi dica cosa fare e che spiega le cose specifiche».

Con Higuain la Juventus è davvero imbattibile?
«Il calcio è undici contro undici. Ho vinto con l’Inter 3 a 1 contro la Juventus che aveva una squadra fortissima e noi avevamo una squadra normale con Cambiasso, Milito e l’allenatore era Stramaccioni. In partita conta chi ha più carattere e chi non ha paura».

A lei è mai venuta paura in campo?
«È il mio lavoro, io se sbaglio provo a recuperare il prima possibile per riprovare a fare bene. Non mi nascondo mai dietro a nulla. Se non riuscissi a fare questo cambierei lavoro».

Riesce a trasferire questa sicurezza ai compagni?
«Ogni tanto, ma dipende anche dal carattere dell’altro calciatore perché ho visto tante volte a Milano che appena sbagli la gente fischia e magari un giocatore più debole andava subito giù e non riusciva più a fare un passaggio rischioso. Tante volte ho messo la faccia per proteggere i compagni. Io e la mia squadra siamo una cosa sola io corro per loro e loro corrono per me».

La sua famiglia le è sempre vicina?
«Mia moglie è sempre con me, mio papà e mia mamma sono in Brasile con mia sorella e mio fratello. Mia moglie mi ha aiutato molto, prima avevo un carattere difficilissimo perché volevo sempre discutere, litigare, e volevo le cose subito. Lei pian piano mi aiutato a capire che devo ascoltare. Ero una testa calda e adesso sono più tranquillo grazie a lei. Testa calda anche in campo? Prima lo ero tantissimo, in Nazionale under 20 sono stato espulso contro l’Argentina perché abbiamo preso un gol ed ho cominciato a menare come un pazzo. Oggi non lo farei mai. Anche gli arbitri con cui discutevo sempre il primo anno ora mi dicono che sono cambiato»

(Il Messaggero)



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