Juan

(Gazzetta dello Sport) A 38 anni e 8 mesi Juan Silveira dos Santos non si gode gli agi della costa carioca, ma è ancora lì sui campi della Gavea a sudare. Altro che meritato riposo «Sono sempre stato un professionista serio, mi prendo cura del mio corpo. Anche con un po’ di fortuna, perché non ho mai avuto infortuni gravi. E mi piace pure allenarmi». Juan, alla Roma dal 2007 al 2012 e prima a Leverkusen, è tornato dove tutto aveva avuto inizio, ai rubronegro del Flamengo, club per cui il difensore di Humaitá, zona sud di Rio, ha sempre tifato e dove a 17 anni, nel 1996, era già pro. Lasciata la Roma nel 2012 ha giocato prima nell’Internacional di Porto Alegre e dal 2016 al Fla. Ora il club è 7°, in lotta per qualificarsi in Libertadores (entro il 6° posto), e nei quarti della coppa Sudamericana, a fine ottobre nel derby col Fluminense; dopo aver perso la finale di coppa nazionale.

Giocherà ancora l’anno prossimo o pensa di fare l’allenatore?
«Non l’ho deciso. Ma non penso di fare il tecnico. Ci sono ancora gare decisive, e la direzione del club mi deve chiamare per rinnovare il contratto».

Il Flamengo ora è guidato da Rueda, colombiano. Che ne pensa dell’unico tecnico straniero del Brasileirão?
«È un vincente, l’ha dimostrato con la Libertadores 2016. Ci ha portato l’agonismo sudamericano. Parla con noi in spagnolo. Abbiamo molti sudamericani al Flamengo e brasiliani che hanno giocato in Spagna che ci aiutano se abbiamo qualche dubbio».

Lei è uno dei pilastri della difesa del Fla, una «nazione» da 40 milioni di tifosi. Sono caldi come i romani?
«Sono due tifoserie appassionate e molto attive. Anche questo mi ha permesso di identificarmi presto con la Roma».

A proposito, la segue ancora?
«Certo, a Roma ho lasciato tanti amici, anche fuori dal calcio. Quando posso vedo la Roma in tv, come contro il Benevento, e faccio il tifo. Oggi non voglio vivere in Europa, ma se dovessi scegliere un posto fra quelli che ho conosciuto sceglierei senza dubbi Roma».

Totti ora ha iniziato a fare il dirigente…
«Ogni tanto ci scambiamo dei messaggi, soprattutto quando ha annunciato l’addio al campo. Ha portato la Roma ad alti livelli. Ora può farlo pure dalla scrivania. Una bandiera della Roma. È stato emozionante il suo addio».

Il portiere Alisson si è garantito il posto da titolare. Quali sono le sue qualità?
«La Roma ha sempre avuto una buona tradizione coi brasiliani. Alisson poi è un amico con cui ho avuto l’occasione di giocare nell’Internacional per quasi 3 stagioni. Già allora era ritenuto uno dal futuro sicuro. Nell’Internacional ha fatto ottimi campionati brasiliani e la Libertadores 2015, così ha attirato l’attenzione del c.t. Ha tutto per restare a lungo nella Seleção, per la sua età e il suo potenziale. Ora ha l’occasione per giocare con continuità. È un portiere rapido, buonissimo tecnicamente e di gran personalità».

Ora nella difesa della Roma c’è un suo omonimo, Juan Jesus…
«È uno che conosce bene il calcio italiano, già adattato allo stile di gioco della Serie A. Aveva l’esperienza in una grande, l’Inter. Difensore velocissimo, grande capacità di recupero, mancino, buon passaggio».

E in panchina c’è Castan…
«Ha avuto un ottimo inizio alla Roma, purtroppo poi la malattia l’ha frenato. Spero si riprenda e torni ai livelli precedenti. È bravo nel contatto fisico, con uno stile diverso da Juan, ma entrambi ottimi difensori».

Il suo miglior tecnico europeo?
«Spalletti. Dal punto di vista umano, è molto vicino ai giocatori, e tattico. Sa preparare benissimo una partita».

Che cosa manca alla Roma per vincere un titolo?
«Già ai miei tempi ho “colpito il palo” 2 volte, cioè siamo andati vicini al successo, quasi vincevamo lo scudetto. La Roma di solito fa due terzi di campionato eccellenti. E in quest’altro terzo le cose finiscono un po’ fuori controllo, si perdono punti che poi mancano nel finale. Era così alla mia epoca e capita pure negli ultimi tempi. La Juve vince perché fa dei tornei regolari dall’inizio alla fine. Spero che la Roma trovi la regolarità specie nelle gare più facili, che le vinca tutte».

Migliori difensori oggi?
«In Brasile Rodrigo Caio del San Paolo, giovane di sicuro gran futuro, convocato in nazionale. Nel mondo Sergio Ramos è il migliore. Ce ne sono altri allo stesso livello: Thiago Silva, Marquinhos, Hummels».

Lei nel tempo libero cura progetti sociali, vero?
«Cerco di aiutare bambini, anziani, con donazioni, cibo, di pannolini, faccio delle visite alle loro istituzioni. Contribuisco pure alla Casa Ronald McDonald, che si prende cura di bambini malati di cancro».



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