Rick Karsdorp non è un calciatore che affronta la vita con timore: ha colto immediatamente l’occasione di trasferirsi in un club che gioca la Champions League, ricoprirà un ruolo in campo determinante nel calcio che proporrà di Di Francesco e proverà a dimostrare all’Europa di essere un esterno pronto per una big: «Le prime impressioni sono tutte positive, ma è un peccato che in questo momento sia infortunato, Poi c’è anche il problema della lingua che non parlo ancora. Non appena potrò unirmi al resto del gruppo sarà ancora più facile».
È vero che la Roma sapeva del suo infortunio al ginocchio?
«Sì, era ovviamente a conoscenza del mio infortunio e tutto è stato fatto in totale sintonia con i medici del club».
Che rapporto sta instaurando con Di Francesco?
«Gli ho parlato prima di firmare e quando sono arrivato a Trigoria mi ha fatto sentire a casa. Calcisticamente è un tecnico a cui piace un calcio d’attacco e questo può farmi solo piacere dato che sono un calciatore con caratteristiche prettamente offensive».
E non potrebbe rivelarsi un problema per la fase difensiva?
«Fino a venti anni ho giocato come centrocampista offensivo, sono soltanto tre anni che gioco come terzino destro. Sono sicuro, però, di mettermi alla pari e di migliorare la mia fase difensiva».
Cafu veniva soprannominato pendolino, lei locomotiva. Un’eredità difficile da raccogliere.
«È difficile dirlo, ho soltanto 23 anni e Cafu è stato un grandissimo calciatore che ha giocato qui alla Roma. Quello di cui sono sicuro è che cercherò di fare del mio meglio per raggiungere quelle vette».
Come mai nella conferenza stampa di presentazione ha chiesto all’ambiente di non crearsi troppe aspettative su di lei?
«In condizioni normali direi il contrario, ossia che le persone devono attendersi grandi cose da me. In questo caso le circostanze sono diverse: per la prima volta lascio la squadra nella quale sono cresciuto e nella quale ho sempre giocato avendo un’evoluzione tattica».
E quindi?
«All’inizio, lo so, per me sarà difficile esprimere tutto il mio potenziale, servirà un po’ di tempo e pazienza, ma poi sono sicuro che vedrete la versione migliore di Rick».
Che ruolo ha avuto suo padre nella sua nascita calcistica?
«I miei genitori si sono separati quando avevo 14 anni, all’inizio sono stato con mia madre, poi ci sono stati dei problemi e sono andato a vivere con mio padre. Da allora mia madre l’ho vista un paio di volte».
La scuola non era la sua passione?
«A quell’età non andavo bene e mio padre mi disse che dovevo lasciare il calcio: per un anno non ho più giocato a pallone, poi l’anno successivo mio papà voleva che tornassi in campo ma a quel punto ero io che non volevo più. Lui, però, mi ha convinto a riprende quella strada e a ricominciare la carriera».
Che rapporto ha con i social network?
«Ho una società che se ne occupa, io personalmente non frequento Facebook o Instagram».
Sui social, però, c’è Astrid la sua ragazza diventata sex simbol. È geloso?
«No, al contrario sono fiero. Vuol dire che sto insieme ad una bella ragazza, anzi sono contento che abbia origini italiane e in questo senso potrà anche aiutarmi».
Che differenze immagina tra il campionato italiano e quello olandese?
«La prima differenza è che in Olanda ho vinto il campionato e in Italia no. Ma qui con la Roma decvo ancora cominciare, quindi mi prendo un po’ di tempo…».
Crede che sia più difficile vincerlo in Italia con Juventus, Milan, Inter e Napoli?
«Io sono convinto di poter vincere il titolo, altrimenti non sarei qui e non avrei firmato per la Roma. Anche al Feyenoord sembrava difficile riuscirci, l’ultimo campionato l’avevano vinto nel 1990 ma l’anno scorso siamo tornati a conquistare il titolo. La Roma non vince uno scudetto dal 2001, perché non dovrebbe essere possibile? Noi abbiamo una buona squadra, un buon allenatore e un buono staff, ci sono tutte le condizioni, ma soprattutto dobbiamo crederci. Io ci credo e daremo il massimo. Il centoventi per cento».
La stampa può diventare un alibi per le sconfitte?
«Non so in Italia come funzionano le cose, ma in Olanda si perde e si vince tutti insieme. Se perdi una partita è la squadra che la perde. Non c’è mai la divisione tra questo e quello. Non c’entrano né la stampa, né l’arbitro, né altro». Chiaro.
(Il Messaggero – G. Lengua)
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