NOTIZIE AS ROMA KLUIVERT – In Olanda quel gesto lo avevano visto spesso: doppio passo, scatto brillante e cross al bacio. Il papà Patrick si bruciò col Milan appena 21enne, Justin Kluivert invece va veloce. Sfruttando quel passo da ala con cui ha incenerito Nkoulou per offrire a Dzeko un matchball che uno come lui non poteva sbagliare. Era entrato da venti minuti, sufficienti a lasciare sul campionato un’impronta più profonda di quella del nobile padre.
Non è la prima volta: con l’Ajax ha esordito più giovane di lui, appena 17enne, rimontando sul passato delle giovanili dove lo vedevano poco. E segnato una tripletta in Eredivisie (al papà non è mai riuscito) a 18 anni, il più giovane dal 1981. Certo non è l’unico a inseguire tracce paterne: Chiesa, Simeone, Di Francesco, tutti cognomi che come il suo popolavano la Serie A ’ 97/ 98. Ventuno anni dopo sono di nuovo in campo, cambiati solo i nomi di battesimo. Proprio mentre in Francia brillano Weah e Thuram, pure loro figli di grandi di quel mitico ’97.
Ma se papà Patrick in Italia restò solo un anno per poi fuggire in Spagna, più solido pare il trasloco italiano di Justin, curiosamente nella casa che fu di un altro romanista, Marco Delvecchio. Quando chiedono a Kluivert quale sia il segreto di quella velocità bruciante lui risponde: «Essere cresciuto per strada: giocavo con gli amici in un campetto di cemento, non come i giovani di oggi». Da cui si sente diverso, nonostante il culto per la musica “trap”, un’evoluzione dell’hip hop, e i vestiti da rapper (alla playstation invece può migliorare). Sicuro di sé al limite dell’arroganza, dice chi lo conosce.
E di motivi per crederlo ne ha seminati: «Voglio diventare un giocatore che andrà per 160 milioni in uno dei migliori club al mondo. E il mio sogno è il Barcellona». Lo ha detto pure al presidente Pallotta. Su internet è virale un video in cui Mourinho, dopo la finale di Europa League vinta contro il suo Ajax, lo benedice. Le trascrizioni fantasiose su promesse di portarlo allo United per vincere la Champions le ha smentite lo stesso Kluivert: «Mi ha detto di conoscermi da molto tempo, da quando avevo una settimana perché mi vedeva a Barcellona. E che sto giocando bene».
Verrebbe da strozzarlo per quella spocchia ostentata, poi però torna in mente la scelta del numero di maglia: il 34 a Roma lo porta per ricordare Appie Nouri, stella sfortunata del vivaio Ajax che nel 2017 stramazzò in campo per un collasso cardiaco subendo danni irreversibili al cervello. Erano amici, l’Ajax voleva che Justin affrontasse quel dolore con uno psicologo, lui preferì affidarsi alla famiglia.
O, per meglio dire, a mamma Angela Van Hulten, ex modella ed ex moglie di Kluivert senior con qualche guaio giudiziario alle spalle. Ha inciso lei, più dell’agente Raiola, sul suo trasferimento alla Roma, quando il papà spingeva perché rimanesse ancora ad Amsterdam. In fondo, il periodo in cui gironzolava per gli spogliatoi del Barça al seguito del più noto genitore sono passati: il legame tra i due è saldo ma rarefatto. Non lo vede spesso: qualche vacanza estiva o a Natale e poco altro, a trovarlo a Roma non è venuto mai, ancora.
Nella villa di 800 metri quadrati all’Axa, quartiere “in” tra Roma e il mare arredata come un museo del design, si vedono spesso gli amici di Kluivert (qui ha legato con un altro olandese, il terzino Karsdorp: pensare che in un Ajax- Feyenoord di due anni fa finirono per litigare). Ma soprattutto mamma Angela e il fratellino Ruben, anagraficamente più giovane ma decisamente più alto di Justin. È calciatore pure lui, come tutti i Kluivert junior: dicono che il migliore sia Shane, mamma diversa ma talento che gli è valso, a 9 anni, un contratto con la Nike e la chiamata nella cantera del Barça. Si farà pure lui, a patto di andar veloce: come fa Justin.
(La Repubblica – M. Pinci)
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