(Il Messaggero – A. Angeloni) Francese di nascita, senegalese nel cuore e nelle origini, “campano” d’adozione. «Il Napoli è la squadra dove mi sono divertito di più in assoluto», così parlò Kalidou Koulibaly, difensore azzurro, a pochi giorni dalla grande sfida con laRoma. Il centrale del Napoli è alto, grosso e mette paura. Il Senegal è lontano, lo riscopre solo quando indossa la maglia della nazionale, la sua vita è stata in Europa, tra la Francia, è nato a Saint-Dié-des-Vosges, è stato in Belgio, oggi vive sotto al Vesuvio, dove a metà ottobre fa ventisei gradi. «Mio papà e mamma sono partiti per la Francia prima che io nascessi: lì hanno trovato lavoro,uno da operaio, l’altra da cameriera. Il francese è lamia lingua, quella che ho imparato a scuola, ma io ho sempre vissuto a contatto con persone del Senegal, sono cresciuto con una doppia cultura. Il mio quartiere a Saint-Dié-des-Vosges era pieno di miei connazionali, a casa parlavo la lingua madre, con gli amici pure. Con loro ho cominciato a giocare al calcio, per strada. Dicevano che ero forte».
Forte e grosso, a quanto pare.
Stavo sempre con quelli più grandi. A dieci, dodici anni, ho cominciato a capire che forse potevo fare il calciatore e ci ho provato. Ed eccomi qui.
Giocare e guadagnare tanto, il sogno di tutti.
Sì, specie per chi non viveva con molti soldi.Non si guadagnava molto, il calcio mi ha dato tanto emi ha fatto divertire.
Perché ha scelto il Senegal e non la Francia.
Perché le porte erano più aperte e mi sono lanciato. Scelta fatta appena arrivato a Napoli, quattro anni fa.
Certo, a saperlo…
No, non ne sono affatto pentito, perché mi sento senegalese.
L’Africa negli anni ha esportato tanti talenti e un calcio che alla fine non decolla mai. Si è dato una spiegazione?
Il talento, il fisico a volte non basta. E’ una questione di strutture: in Europa si è più avanti sotto questo aspetto, da noi non ci sono campi adeguati. Il salto di qualità diventa difficile, siamo molto indietro. Certe volte vai a giocare in terreni senza erba, il talento non cresce. Peccato, perché in Africa il calcio è molto popolare, muove persone e passioni. Ma purtroppo è una questione di struttura.
Parlando di stadi, viene facile una battuta: in Italia crede siano migliori?
No, qui sono impianti vecchi, ma almeno hanno il campo adeguato. E comunque, mi creda, parliamo di un altro livello.
Lei ha vissuto con il mito di?
Thuram, Desailly. Più Thuram, però. Classe, tecnica, forza fisica. Tutto. Faceva il terzino, poi il centrale, un calciatore straordinario. I mondiali del 1998 sono stati la massima espressione del talento francese, Lilian ne era l’esempio.
Il suo primo anno a Napoli non benissimo.
Venivo dal Belgio, mi sono calato nel calcio italiano ed ho scoperto che era completamente diverso. Benitez mi ha aiutato e alla fine non è andata malissimo. Certo, è stata dura, ma faceva parte di un percorso naturale. Sarri poi mi ha riscoperto, mi ha dato fiducia.
Sarri è così geniale?
Sì, è così.Vede cose che altri non vedono. Ti fa capire quanto nel calcio nulla può e deve essere imprevedibile. E’ uno studioso. Qualsiasi domanda tu gli faccia, lui ha sempre una risposta. Ed è sempre giusta. Ti aiuta a pensare come squadra e non come singolo. Quando è arrivato mi ha detto: se fai come ti dico, diventerai un giocatore importante. E io ci sto provando, ma so che posso ancora migliorare. Con Sarri il calcio è matematica, insomma.
Le ha fatto vedere un video di Dzeko, per caso?
No, ce li ha fatti vedere della Roma, questa è la differenza. Non sarà un duello tra me e lui, ma tra Roma e Napoli. Se non siamo squadra rischiamo di perdere, al contrario verrà più facile vincere. Io posso anche fermare Dzeko, poi fa gol un altro ed è finita.
Dzeko a Napoli, lo scorso anno, è stato determinante.
Non perdemmo solo per quello, anche se lui è bomber vero, uno da Pallone d’Oro. Mica uno qualsiasi.
Il Napoli crede allo scudetto?
Certo, ma non ci deve pensare. Ciò che conta è battere la Roma adesso. L’obiettivo è questo.
Il Napoli è la più forte?
Non lo so, ma io mi diverto tanto a giocare in questo Napoli. L’esperienza migliore sotto questo aspetto.
C’è un giallorosso che le piace particolarmente?
Nainggolan. E’ come me, lotta per novanta minuti, non molla mai. Fa gol. Grande giocatore, completo.
E che pensa di Manolas?
Molto forte nelle marcature. Collega di tutto rispetto.
Le hanno raccontato cosa vuol dire vincere a Napoli?
Sì, ma ora voglio viverlo.
Che ne pensa della Roma?
L’ho sempre vissuta come una grande squadra. Per questo non prevedo una partita facile.
La Juve è più forte?
Ha una storia diversa, soldi. Compra grandi calciatori. Sarà un bel campionato.
La Champions, esperienza senza troppe pretese?
E’ il sogno di tutti. Una competizione diversa dal campionato italiano. Vediamo dove si arriverà.
Passa all’improvviso da quelle parti Mertens, e gli fa una linguaccia della finestra che dà sul corridoio.
Ecco Mertens, che cosa pensa?
Penso a un fuoriclasse.
Che lo scorso anno ha esultato all’Olimpico facendo finta di fare pipì.
Di questo non voglio parlare.
L’Olimpico le ricorda vittorie e ululati razzisti?
Lo scorso anno: contro la Lazio. L’arbitro Irrati ha interrotto la partita. Si dice sia un problema di cultura. E io come faccio a cambiare la cultura di un paese o di una tifoseria? E’ l’aspetto brutto del calcio e della vita.
Lei abbandonerebbe la gara?
Se sono dieci a fischiare vado avanti, se lo fa uno stadio, no.
In Italia peggio di altri paesi?
In Francia è tutto diverso, le razze sono mischiate, in Belgio è un razzismo interno, tra i valloni e i fiamminghi. Io ero “neutro” e non mi ha mai detto niente nessuno. Comunque qui non c’è solo razzismo verso chi ha la pelle diversa, c’è anche contro i napoletani, i romani. Un fatto di cultura, appunto.
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