Stadio della Roma

L’epopea infinita sullo Stadio della Roma inizia con un piccolo peccato originale, un neo difficile da smacchiare che vale 42 milioni di euro. Tanto (o poco) ha pagato nel marzo del 2010 la società Eurnova del gruppo Parnasi per acquistare i terreni di Tor di Valle, una terra arida che di lì a breve avrebbe prodotto frutti miliardari. Sulle operazioni che anticipano quell’acquisto oggi pende un processo perché, secondo il pubblico ministero Mario Dovindola che ha guidato le indagini, l’area in oggetto sarebbe stata distratta da una società in fallimento e la sua proprietà passata ad un’altra società, la Sais srl, che ha poi concluso la vendita con la Eurnova di Parnasi. La vicenda giudiziaria non mette a rischio il diritto di proprietà, ma aggiunge un capitolo alla saga dei soldi che ruota intorno al maxi-business dello stadio e parte da un matrimonio di interessi, quello tra la banca Unicredit e il costruttore Parnasi.

LE NOZZE UNICREDIT-PARNASI – Fare affari con lo stadio non è solo l’obiettivo di James Pallotta, ma l’exit strategy della grande banca italiana che, proprio in questi giorni, sta vivendo il delicato passaggio dell’aumento di capitale. Parnasi è fuori di circa 700 milioni di euro (tanti sono i debiti accumulati dal gruppo con le banche) e l’istituto milanese ha un bisogno assoluto di rientrare per la sua parte. Per farlo ha istituito un veicolo societario, la Capital Dev, di cui detiene la totalità delle azioni e nel quale sono confluite le partecipazioni delle più importanti iniziative immobiliari della famiglia. Tra queste la società Parsec, proprietaria del terreno sulla Laurentina; La Pisana srl, titolare di diritti nell’area del Pescaccio; il Parco delle Acacie, proprietario di 15mila metri quadri a Pietralata e diverse altre aziende. La missione di Unicredit è vendere, lasciando fuori dalle trattative il gioiello di famiglia. I terreni dello stadio non sono confluiti nella Capital Dev e rappresentano il biglietto della lotteria sul quale hanno investito i protagonisti finanziari di questa vicenda.

LA PARTITA DEL BUSINESS PARK – La sfida sul futuro di Parnasi si gioca sulla realizzazione del business park, 318mila metri quadri da destinare a uffici e attività commerciali, assegnati — secondo l’accordo siglato da Eurnova con il Comune nel 2013 — in cambio della realizzazione delle opere infrastrutturali. Nello studio di fattibilità è indicato lo spacchettamento della metratura totale: 278.242 metri quadri per gli uffici, 15.200 per la ricettività turistica; 20.000 per i servizi alle persone e 4.760 per i bar e i ristoranti. Calcolando un valore medio di mercato intorno a 6.000 euro al metro quadro (in linea con le valutazioni dell’Eur), questo significa che l’intero pacchetto — se realizzato — peserebbe nelle tasche del costruttore per quasi 2 miliardi di euro. Un motivo più che valido per non mollare la presa.

IL RUOLO DELLE BANCHE D’AFFARI – Mentre James Pallotta sogna uno stadio, Parnasi spera di costruirlo e Unicredit di rientrare del debito, qualcun altro si è rimboccato le maniche per realizzare i tre desideri. Sono due advisor di nome Goldman Sachs e Rothschild e hanno un compito semplice: trovare quasi 3 miliardi di euro, 1,6 miliardi per lo stadio e l’area commerciale, che sono a carico del club, e 1,2 miliardi per il business park di Parnasi. E mentre la sindaca Virginia Raggi fissa il teschio di Amleto alla ricerca di una risposta profetica sul futuro dello stadio, Goldman Sachs e Rothschild cercano finanziatori in giro per il mondo. Tra questi — secondo indiscrezioni rilanciate ieri dal “Sole 24 ore” — potrebbero esserci la Starwood Capital e la stessa Unicredit. Di soldi ne servono tanti e, prima di sedersi a qualunque tavolo, gli investitori esteri vogliono certezze, merce che sembra diventata rara.

IL BUSINESS DELLO STADIO – Gli stop and go della sindaca, gli appelli di Spalletti come anche la convocazione di Totti in Campidoglio sono decorazioni colorate su una torta fatta di soldi. Secondo lo studio realizzato dalla Sapienza, solo gli 1,6 miliardi previsti per la realizzazione della struttura sportiva e dell’area commerciale genererebbero in tre anni un aumento del Pil cittadino di 5,7 miliardi, 12,5 miliardi entro sei anni e 18,5 entro il 2026. Non solo: nell’arco di nove anni il gettito fiscale extra per le casse del Comune sarebbe di 1,9 miliardi (150 milioni di euro all’anno). In via definitiva, l’impatto sulla città di Roma sarà due volte e mezzo quello generato da Expo 2015 su Milano. I numeri parlano chiaro e raccontano una verità condivisa con le ragioni del cuore e del portafoglio, motivazioni differenti unite insieme al grido “FamoStoStadio”.

(La Repubblica – D. Autieri)



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