(La Repubblica – E. Sisti) La maledizione di quella porta. Deve esserci un libro che circola solo a Liverpool in cui si racconta e si spiega che da quella parte, sotto la Sud, un vortice di magie rende facile la vita al calciatore inglese e nello stesso momento paralizza i padroni di casa che vestono maglie giallorosse. Fluidi antichi li costringono a errori fatali. Ieri, oggi, forse pure domani. Si racconta che qualcuno, nella Roma di 34 anni fa, fosse convinto che se i rigori della finale li avessero calciati sotto la Nord, davanti ai tifosi del Liverpool, Conti e Graziani non sarebbero rimasti ipnotizzati dalla Sud, si sarebbero sentiti meno stanchi, più motivati, più cattivi. E magari la Roma quella finale l’avrebbe vinta. Dicerie, fantasie, ricostruzioni. Però ieri le dicerie hanno mietuto altre nobili vittime, cadute come foglie di fronte al potere delle cose invisibili che governano quel piccolo spazio di campo ai piedi del cuore del tifo. Due reti del Liverpool in quella porta, due sbagli della Roma che in questa Champions non aveva mai preso gol all’Olimpico. La magia ha funzionato ancora. Quello più grossolano lo commette Nainggolan. E lo commette così presto che il suo compito in campo muta all’istante: da centrocampista a precoce distruttore del sogno. Sono passati appena nove minuti. Ormai il Ninja basso non ci sa più giocare o non ci vuole più giocare. Spostato sulla sua fascia sinistra effettua un disimpegno orizzontale, lento, incomprensibile, pericolosissimo. Se ne impossessa Firmino che serve Mané e Kiev ritorna cartolina sbiadita. Se fai un passaggio orizzontale sei sempre colpevole. Se proprio sei costretto, tira forte. Te lo dicono quando sei ancora esordiente, lo suggeriscono negli oratori. Ma il Ninja era smarrito o troppo carico per pensare che quel passaggio potesse provocare la fine anticipata di tutto. E poi il Ninja lo dovrebbe sapere che il calcio nasce sempre da un momento che pare insignificante. Il secondo gol del Liverpool emerge da una serie di sbandamenti figli della sfiducia già inoculata. Dzeko rimanda la palla di testa indietro anziché avanti e fa scoprire a tutto il mondo che Wijnaldum è rimasto solo davanti ad Alisson, nessuno si preoccupa di lui e non può essere in fuorigioco perché il passaggio gliel’ha fatto Dzeko. Il bosniaco segnerà più tardi nella porta maledetta, ma troppo tardi per riprendere a sognare. L’orgoglio e i tatuaggi porteranno Nainggolan a compensare il suo incipit disastroso con due reti nella porta maledetta. Ma è la scarpetta più amara, rubata col pane secco nel piatto del vicino che si era già alzato da tavola per festeggiare.
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