Una maledizione. Alla Roma americana l’Europa non porta fortuna. Certo non ci pensava nessuno dopo la prima mezz’ora di Oporto, quando lo stadio “do Dragao” ammutoliva sotto i colpi di Nainggolan e Salah che terrorizzavano il monumento di Casillas. Ma era un’illusione. È bastato un istante di distrazione per trasformare le premesse gloriose in oscuri presagi. Cinque minuti all’intervallo, André Silva scappa via a Vermaelen che lo aggancia: rosso. In quel momento in molti avranno ripensato a Leverkusen e i 2 gol di vantaggio dilapidati in 5 minuti. All’assurdo ko di Borisov. Alla beffa di Mosca, l’ultima gara europea di Strootman prima di ieri in Portogallo, con quel pari subito a tempo scaduto e che forse è costato una qualificazione agli ottavi. Per non parlare dei 6 gol di Barcellona. Un caso dietro l’altro che tutti insieme fanno un tabù: la Roma americana a Oporto s’era presentata senza lo straccio di una vittoria in trasferta nel curriculum di Champions. L’ultima risale al 2010, a Basilea: in panchina c’era Ranieri e di Pallotta a Roma non aveva mai sentito parlare nessuno. Il Porto aveva cercato di mettere la strada in discesa nel primo tempo, ma liberarsi di una maledizione è più difficile che segnare a porta vuota. E non può che essere una maledizione se proprio a porta vuota Dzeko riesce a farsi chiudere nel primo tempo, dopo regalo di quel Casillas che monumentale a guardar bene non è più. E chissà se un gol in quel momento avrebbe aiutato a rompere il tabù e ad arricchire il curriculum internazionale. Un curriculum che prima di presentarsi in Portogallo recitava 7 sconfitte in 14 gare della coppa più preziosa dal 2014 a oggi. Una ogni due. Con la miseria di 2 successi (Cska e Bayer), tutti all’Olimpico. Proprio all’Olimpico ora Spalletti dovrà costruire il passaggio a quella fase a gironi che tra premi e diritti tv garantisce un minimo di 28 milioni di incassi. La Roma di oggi non può farne a meno.

(La Repubblica – M. Pinci)



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