Eusebio Di Francesco

(La Repubblica – M. Pinci) Cosa sia successo alla Roma negli ultimi due mesi non lo ha capito nessuno. Ma su una cosa a Trigoria hanno le idee chiarissime: o l’aperitivo delle 12.30 col Verona segna una svolta o nulla sarà più lo stesso. Sette partite senza vincere erano capitate sotto la gestione americana al solo Garcia, per trovarne una peggiore bisogna tornare all’anno 2005. Cambiare senza essere cambiata: il mercato che poteva toglierle Dzeko o Nainggolan, El Shaarawy o anche il solo Bruno Peres, ha invece lasciato la Roma identica a quella della prima parte di stagione. Strootman e gli altri dovranno però dimostrare di aver svoltato. Al Bentegodi, dove dopo il passaggio del turno in Champions è forse iniziata, contro il Chievo, la vera crisi d’identità romanista.

La marcia d’avvicinamento agli ottavi di Champions contro lo Shakhtar, sembra disegnata per ritrovare convinzione e risultati. Dopo il Verona, Benevento all’Olimpico e Udinese in Friuli. Non arrivasse subito una reazione, la dirigenza dovrà però iniziare a pensare a come defibrillare una squadra che ha smesso di reagire agli stimoli: che siano un richiamo alla responsabilità da parte dei dirigenti o una strigliata dell’allenatore. E tutte le posizioni – pure quella di Di Francesco – saranno valutate, se utili a dare una scossa. Non vuol dire che il tecnico rischi il posto, visto che il ds Monchi gli ha appena rinnovato la fiducia. Ma farsi domande sulle componenti della crisi – tutte – è inevitabile. A fine stagione sarà ancora rivoluzione con almeno 6- 7 big destinati a cambiare aria.
Certo ieri, mentre la Roma s’imbarcava per Verona, sugli smartphone dei giocatori scorrevano i gol di Totti in un torneo di vecchie glorie, insieme a fiumi di nostalgia.



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