(Il Tempo – E. Menghi) All’inizio a Trigoria era appeso il cartello «lavori in corso», perché per costruire la nuova «casa» Di Francesco aveva bisogno di tempo, speso tra l’insegnamento tattico e l’inserimento progressivo degli acquisti estivi su cui spesso si è puntato il dito perché troppo poco hanno portato alla squadra, un po’ per colpa degli infortuni (vedi Schick e Defrel) un po’ per le difficoltà di ambientamento(Under). Ma alla Roma quello che sta mancando di più è la sua colonna vertebrale, l’asse portante che tiene insieme i pezzi. Se i pilastri vengono meno, crolla tutto. E non è un caso se all’orizzonte c’è l’ennesima rifondazione che includerà cessioni illustri, perché i «big» non sono più considerati incedibili. Sono loro, in primis, ad aver deluso nel momento in cui si cominciava a respirare aria di crisi, anzi tutto sembra essere iniziato con il cattivo esempio del capitano De Rossi, che a fine novembre rifilava uno schiaffo a Lapadula, regalando rigore e pareggio al Genoa (il primo segno X della stagione).

L’anno scorso si poteva quasi tracciare una linea dalla difesa all’attacco toccando tutti i leader che davano linfa vitale all’undici di Spalletti: da Manolas a Dzeko, passando per lo stesso Daniele e quel Nainggolan che giocava dietro la punta. I grandi assenti di quest’anno sono proprio i protagonisti di «ieri», per motivi diversi e con responsabilità differenti. Il centrale greco, per esempio, è stato il migliore in campo contro l’Atalanta, ma non riesce ad essere una sicurezza con continuità. La pecca più grande è il penalty concesso alla Lazio nel derby, un vero pasticcio visto che aveva deviato col braccio una palla innocua dentro l’area di rigore. La distrazione alla fine non è costata tanto alla Roma, che l’estate scorsa aveva venduto Manolas allo Zenit, prima dei noti ripensamenti del giocatore che ha poi firmato il rinnovo, restando però con la valigia sull’uscio. Soprattutto dopo le recenti riflessioni della dirigenza, che a scaglioni volerà a Londra in questi giorni: oggi è il turno di Baldissoni, Fienga, Gandini e Danovaro, che nella capitale inglese sarebbero andati a prescindere da Pallotta, atteso giovedì, per discutere le questioni commerciali del club ancora in cerca del main sponsor. Appena il presidente confermerà la sua presenza, Monchi lo raggiungerà per fare il punto sulla parte sportiva e per capire come muoversi nel complicato mercato invernale.

Se dovesse giungere a Trigoria un’offerta irrinunciabile per uno dei senatori, non sarà subito cestinata, anche se una cessione di questo calibro sarebbe meglio farla con la calma del calciomercato estivo, per non avere la fretta di trovare rimpiazzi di livello. De Rossi ha ancora un anno di contratto e dovrebbe rispettare la scadenza, gli altri «big» possono favorire il «Supermarket Roma». Chi si sentirà arrivato alla fine di un ciclo potrà cambiare aria, Strootman è nella capitale dal 2013 ed è rimasto soprattutto per sdebitarsi della fiducia che il club gli ha dato quando il ginocchio lo faceva dannare, ma tra poco avrà 28 anni e potrebbe essere il momento giusto per una nuova sfida. Le prestazioni non sono alla sua altezza, la «lavatrice» è stata aggiustatatre volte ma fatica a girare come una volta. Dzeko, invece, fa il bello e il cattivo tempo: un anno da bidone, uno da bomber e ora una via di mezzo. Ha cominciato la stagione con i ritmi della passata, poi si è perso. El Shaarawy e Perotti vanno ad intermittenza, a volte sono decisivi altre dei fantasmi in campo, Nainggolan difetta nei comportamenti, Florenzi da terzino lascia ancora qualche dubbio e a differenza degli altri romani e romanisti non ha mai escluso l’idea di un futuro lontano dalla capitale. Una Roma che, volente o nolente, non conosce intoccabili.



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