(La Repubblica – F. Bocca) Non esiste calcio europeo più a est di Baku e del Futbul Klubu Qarabag. Anche perché da qui l’Europa è distante e la Roma per arrivarci ha dovuto fare un viaggio di cinque ore. Ma nonostante il club azero sia stato segnato dalla storia e anche dalla guerra, non siamo affatto in un posto di frontiera, anzi. Il solo Stadio Olimpico di Baku, città ultramoderna che già ospita da due anni il circo della Formula 1, potrebbe fare invidia allo stadio che Pallotta vuol costruire. Senza contare che il Qarabag per quanto alla prima uscita nei gironi di Champions abbia preso sei gol dal Chelsea di Conte – è molto più che un club. Gli piace farsi chiamare il Barcellona del Caucaso.

Gurban Gurbanov, ex gloria del football nonché attuale allenatore, pratica così il tiki taka e al tempo stesso fa discorsi sull’orgoglio patrio. «È la prima volta che giocheremo in questo stadio. Questa partita è qualcosa di importante per tutti noi, per la città, per il nostro Paese, per il nostro calcio». Sagirov, uno dei tanti allenatori precedenti, per dire cosa segna la storia di questa squadra, saltò su una mina. Il Qarabag è una squadra esiliata dalla propria città, Agdam distrutta durante la guerra del Nagorno Karabakh.

Se la partita è importante per la Roma che anche dai gol al Qarabag può ricavare la speranza di scalzare il Chelsea o l’Atletico Madrid dalla qualificazione agli ottavi, figuriamoci per il Qarabag. Che per l’esordio in Champions e su diretta pressione dell’Uefa che vuole testare gli stadi europei 2020, ha scelto di giocare qui le grandi partite, nonostante abbia ormai un impianto più piccolo e dove forse avrebbe preferito rimanere per far sentire meglio il calore dei propri tifosi. Ma allo Stadio Olimpico di Baku a vedere la squadra pluricampione nazionale, simbolo di un Paese intero, ci saranno oltre 60.000 persone e perfino il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, in carica dal 2003. Già da ieri lo stadio era sottoposto a controlli rigidissimi, tutte le macchine perquisite e i militari non hanno fatto sconti nemmeno al pulmino che trasportava Di Francesco e i dirigenti della Roma. Che infatti hanno tardato una mezzora sulla tabella di marcia.

La Roma sono due anni che non vince una partita di Champions e all’estero si sale addirittura a sette. Fa dunque bene Di Francesco a dare al match la dignità non di un allenamento in Asia a 4000 km di distanza, ma di un grande evento in cui la squadra rischierebbe di trovarsi spaesata se non adeguatamente sollecitata. E dunque tanto turn over ancora (Bruno Peres per Florenzi, Juan Jesus per Fazio, Pellegrini per Strootman, Gonalons per De Rossi, Defrel per Perotti che ha anche sospeso l’allenamento), per tenere la corda tirata e pensando al campionato e al Milan a San Siro domenica sera. I soli esclusi dal turn over Dzeko e Kolarov, i pesi massimi dell’attacco e della difesa, oltre ad Alisson. «Tecnicamente possiamo avere più qualità, ma sarà una partita difficile. Dobbiamo rispettare il Qarabag, per la sua storia e per quello che fa oggi. Sarebbe bello fare tanti gol come il Chelsea, ma bisogna essere cattivi, mi interessano i punti». Il tenero Eusebio non fa sconti.



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