La Roma made in Usa, partita con il simil-presidente Thomas DiBenedetto e poi passata definitivamente nelle mani di James Pallotta, ha un pessimo feeling con le Coppe europee. E, purtroppo per i tifosi giallorossi, anche uno degli allenatori più bravi passati da questi parti – Luciano Spalletti, che definiremo 2.0 per analizzare la sua seconda avventura a Trigoria – è per ora in grande difficoltà quando si deve uscire dal campionato italiano. Lo dicono dati che lasciano poco spazio alle opinioni. Dalla stagione 2011-2012 fino alla partita di Europa League di giovedì sera – pareggiata 3-3 contro l’Austria Vienna dopo che la Roma era in vantaggio 3-1 all’81’ – la Roma ha giocato 25 partite europee (16 di Champions League e 9 di Europa League): ne ha vinte 4, pareggiate 11 e perse 10. I successi sono venuti contro Cska Mosca (5-1, Champions), Feyenoord (1-2, unica vittoria in trasferta, Europa League), Bayer Leverkusen (3-2, Champions League) e Astra Giurgiu (4-0, Europa League). La Roma ha segnato 33 gol (media 1,32 a partita) e ne ha subiti addirittura 50 (media 2 a partita). Il cammino di Spalletti, subentrato a Rudi Garcia nel gennaio 2016) vede 7 partite, una sola vittoria (Astra Giurgiu), 3 pareggi e 3 sconfitte, 9 gol segnati e 12 gol subiti. Delle avversarie solo il Real Madrid (ottavi di finale della scorsa Champions League) era una squadra decisamente superiore a quella giallorossa.
Un simile cammino in Europa produce danni al bilancio (la mancata qualificazione alla Champions, dopo il preliminare perso contro il Porto, costa 30 milioni di euro), lascia la Roma con un ranking Uefa da quarta fascia, non valorizza il parco giocatori e lascia la sensazione che per vincere si debba andare altrove. La gara contro l’Austria è stata paradossale. In vantaggio, in casa, contro un avversario inferiore: impossibile pensare a un 3-3. Non hanno aiutato le sostituzioni di Spalletti: la Roma ha finito con Dzeko, Salah e Totti contemporaneamente in campo ma con centrocampisti stremati. In panchina c’era Strootman, ma Spalletti non lo ha utilizzato, polemizzando poi con la Federcalcio olandese per l’uso del giocatore in nazionale. Ma se Strootman stava male, perché portarlo in panchina? Meglio un Primavera sano che un campione infortunato. Lo dimostra Dominik Prokop, 19 anni, autore del 2-3. Oltre ai 16’ di giovedì, in questa stagione, ne aveva giocati solo 68 nel preliminare contro i terribili albanesi del Kukesi e nel campionato scorso ne aveva disputati 14 in tutto. Ma all’Olimpico ha lasciato il segno. Per fortuna Florenzi e El Shaarawy, usciti in anticipo contro gli austriaci, sembrano recuperabili per domenica, contro il Palermo che non avrà Gonzalez e ha Nestorovski in dubbio.
(Corriere della Sera – L. Valdiserri)
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