Quando sulle scrivanie del dipartimento urbanistica e mobilità della Regione Lazio sono arrivate ieri le sei pagine con cui il Comune esprimeva parere “non favorevole” allo stadio della Roma a tanti s’è gelato il sangue. Il presidente Pallotta sapeva bene che quel parere non rappresenta altro che un passo nella trattativa in corso tra il club giallorosso e la giunta Raggi, ma il terrore che ha colto la città racconta bene la centralità del progetto stadio nei piani futuri della Roma americana. Chi su quel fascicolo sperava di celebrare il funerale dell’impianto è rimasto deluso: “l’iter va avanti”, ammette pure il Campidoglio, che però con il documento inviato in Regione si è garantito uno strumento in più per ridurre le cubature dei grattacieli previsti dall’opera e riformulare i costi di urbanizzazione. Per fare, insomma, l’impianto alle proprie condizioni. Torneranno a parlarne già oggi, se nell’affollatissima agenda della sindaca Raggi si troverà uno spazio per il dg romanista Baldissoni. Certo, la trattativa tra club e Comune dilaterà ancora i tempi, oltre il mese di proroga che solo due giorni fa l’assessore Berdini aveva chiesto. Facendo slittare il Grande Salto, che per stessa ammissione di Pallotta solo un’opera del genere, con i suoi ricavi, può consentire.
La centralità del progetto la racconta l’esempio Juve, campione d’Italia da quando ha inaugurato lo “Stadium” e con un fatturato cresciuto di due volte e mezzo in 5 anni, da 154 a 387 milioni. La Roma a Stelle e Strisce lotta da anni per avvicinare i bianconeri, ma la classifica quantifica ancora in 4 punti la distanza tra le due, e il weekend non ridurrà il gap (la Roma gioca martedì, mercoledì la Juve recupera la gara di Crotone). L’ultima settimana, semmai, ha inviato due volte il messaggio di allarme: prima il ko con la Samp, poi il rischio di uno Spezia-bis mercoledì, contro il Cesena in coppa Italia. Evitato solo al 94’ grazie a un rigore che Totti ha prima realizzato e poi difeso (“C’era”), sentendosi dire per questo, dal presidente dei romagnoli Lugaresi, che “Francesco recitava un nuovo spot in cui interpreta Pinocchio”.
In realtà la distanza dalla Juventus è prima di tutto economica. Trigoria ha fatto impennare i ricavi un anno fa grazie alla Champions, oggi che non la gioca deve fare di conto: ha appena chiuso il mercato invernale rinunciando a spendere per rinforzarsi, accontentandosi della scommessa Grenier in prestito gratuito e provando fino all’ultimo a vendere Gerson e Paredes. Qualche mediatore sta ancora sondando i mercati di Russia e Cina – dove i club locali possono comprare – per piazzare uno dei due. E far tornare le cifre di un bilancio che deve chiudere in pari per non infrangere i paletti imposti dall’Uefa. Per questo non stupiscono le nuove voci di interessamenti cinesi a rilevare la società o almeno a entrare in partnership: Pallotta valuta il club intorno al miliardo, più o meno quello che serve per fare lo stadio e quanto gli sorgerà attorno. E convincere chi vuole investire che la Juve, in fondo, non è poi così lontana. Sempre che il ritorno allo stadio degli ultrà – quasi certo dopo l’annuncio del ministro Lotti di un incontro per rimuovere le barriere che dividono le curve dell’Olimpico – non complichi ulteriormente la ricerca della felicità.
(La Repubblica – M. Pinci)
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