Il matrimonio tra la Roma americana e l’Europa calcistica non decolla. Anzi, è proprio un fallimento. In cinque anni solo delusioni in campo continentale, come dimostrano i risultati: solo tre vittorie e ben 10 sconfitte in 22 partite, 46 gol incassati – con le umiliazioni subite da Bayern e Barcellona – a fronte di 25 segnati, due eliminazioni nei preliminari, due partecipazioni – da dimenticare – agli ottavi di Champions ed Europa League. E all’Olimpico nelle sfide da dentro o fuori tre sonori ko e un deludente pareggio che fu sinonimo di uscita di scena prematura dal torneo. Una debacle che ora inizia a pesare sui conti e sull’immagine del club, da sempre attento alle strategie di marketing e brand. Dallo «spareggio» con lo Slovan Bratislava dell’agosto 2011 a quello di martedì sera con il Porto, sono cambiati presidenti, allenatori e calciatori, ma la Roma non ha cambiato pelle. Il giorno dopo il nuovo schiaffone europeo si sono scatenati i soliti processi e il solito tiro al bersaglio. C’è chi accusa Spalletti – dal suo ritorno a Roma 4 gare europee con tre sconfitte e un gol realizzato – di aver caricato di troppa tensione la sfida con le sue dichiarazioni della vigilia e di aver sbagliato le scelte di formazione (il De Rossi centrale di difesa ad esempio), c’è chi punta il dito sullo stesso De Rossi ed Emerson, autori di falli gravi costati il rosso, c’è invece chi se la prende con la società, ritenuta sempre distante e incapace di creare una mentalità vincente.
Di sicuro, la storia recente dice che quando serve qualcosa di diverso dall’ordinario, la squadra romanista senza alcun preavviso smette di rispondere ai comandi, si inceppa e precipita. Li chiamavano black out già durante la prima gestione Spalletti: perché non è una questione di allenatore o di presidente, forse nemmeno di giocatori. È come se il dna della squadra le impedisse di elevarsi dalla mediocrità. Ora che in una notte di follia è sfumato il jackpot da 25 milioni (parzialmente mitigato dal paracadute da 11 destinato a chi finisce in Europa League), il problema resta l’ultima fase di mercato. «Da questo punto di vista non cambia niente», ha assicurato il ds Sabatini nella pancia dell’Olimpico dopo la disfatta. Ieri a Trigoria Spalletti ha usato toni poco morbidi nel discorso alla squadra: era deluso della leggerezza con cui ha affrontato la partita e furioso per i rossi diretti rimediati. Poi – definite le cessioni di Sadiq e Torosidis al Bologna – ha fatto il punto della situazione con il ds. Si fa difficile l’inseguimento a un centrocampista che sappia dare idee alla mediana della Roma: l’obiettivo è Borja Valero, ma per prenderlo si rischia di dover sacrificare un big. Manolas, il meno convinto di restare, nonostante la clausola Olympiacos che garantisce ai greci la metà dei soldi di una cessione entro il 31 agosto, potrebbe essere il prescelto. Anche se la società smentisce categoricamente questa possibilità. A mercato chiuso arriverà a Trigoria un altro dirigente, l’esperto Umberto Gandini già braccio destro al Milan di Galliani. Uomo di esperienza e molto considerato anche a livello Uefa, sarà il riferimento di Pallotta in Italia insieme al dg Baldissoni. Ma intanto il patron – che continua a pensare allo stadio («da marzo il via ai lavori», assicura) – tuona dall’America contro l’arbitro di Roma-Porto, che pure ha deciso espulsioni sacrosante. E i tifosi sono sempre più delusi. Ora vogliono vedere la squadra rialzarsi ed essere protagonista in campionato
(Il Giornale – M. Di Dio)
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