AS ROMA NEWS PRIMAVERA DE ROSSI – Fosse stato per lui, non avrebbe mai lasciato la panchina della Primavera della Roma: Alberto De Rossi, invece, ha chiuso ieri sera il suo straordinario ciclo con una sconfitta che fa molto male, arrivata nei tempi supplementari dopo che la sua squadra aveva dominato la stagione regolare ed era andata anche in vantaggio con Vicario. Era emozionato prima della finale scudetto contro l’Inter, lo è stato ancora di più quando le luci del Mapei Stadium di Reggio Emilia si sono spente, scrive il Corriere della Sera.
Diciannove anni di Primavera sono tanti, ventinove di settore giovanile sono un’infinità. Il primo contratto, nell’estate del 1993, glielo fece firmare Bruno Conti: Alberto De Rossi partì dal bassissimo, dai Pulcini, quelli nati nel 1984, un anno dopo il figlio Daniele. Non una squadra senza talento: c’erano Alberto Aquilani (uno dei nomi accostati proprio alla panchina della Primavera giallorossa, ma il favorito è Federico Guidi, che con il responsabile del settore giovanile Vergine ha lavorato alla Fiorentina), Damiano Ferronetti, Daniele Corvia, e anche Andrea Servi, scomparso per un male incurabile a 29 anni. Quel gruppo, De Rossi lo portò fino ai Giovanissimi Nazionali e a uno scudetto vinto a Catania, poi li ritrovò negli Allievi, con cui perse uno scudetto nel 2001 contro il Bologna allenato da Pioli. Sì, quello dello scudetto del Milan.
Dal 2003 a ieri, De Rossi è stato la Roma Primavera: ha visto partire in direzione prima squadra una cinquantina di giocatori, ne ha viste centinaia che si sono persi, ma non si è mai risparmiato con nessuno. Ha vinto scudetti in ere geologiche diverse per il settore giovanile: nel 2005 glielo regalarono Cerci e Okaka (che segnò uno dei due gol nella finale con l’Atalanta, l’altro fu un’autorete di Consigli), nel 2011, invece, decise una tripletta al Varese di Mattia Montini, che oggi gioca in Polonia. Poi quello del 2016, vinto proprio a Reggio Emilia ai rigori contro la Juventus.
Felix, Bove e Zalewski sono soltanto gli ultimi nomi di un elenco lunghissimo, che comprende – soltanto per fare qualche nome – Florenzi, Politano, Romagnoli, Pellegrini, ma non Daniele. Perché in questi 19 anni più volte, soprattutto negli anni difficili, il nome di De Rossi senior è stato accostato alla prima squadra: magari gli sarebbe anche piaciuto provare il brivido, ma ha sempre fatto il papà prima che l’allenatore, e per non creare un problema è sempre stato al suo posto.
Rispettando, senza mai sbandare, la regola numero uno: la crescita dei ragazzi prima della propria. «Se sei nelle giovanili per poi andare nelle prime squadre, diventa un ibrido – ha ripetuto anche ieri a pochi minuti dalla finale -. Non crescono i ragazzi e non cresci tu. Non era facile avere questa vocazione, che mi ha portato a fare questa cavalcata. Resto a disposizione del club, per la Primavera c’è un altro progetto. Non è la morte di nessuno». Non doveva finire così.
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