Il diluvio poi Totti. La pioggia pulisce il parabrezza dagli aghi di pino e dalle fogliacce già morte, spazza via la mollezza che grava sugli occhi e di colpo la Roma rivede la strada. Totti e l’acqua salvano l’arca giallorossa dal naufragio a secco che la Sampdoria stava provocando con un condotta accorta e furba. Prima della luce del capitano, che crea dal nulla a 15 giorni dai suoi 40 anni, unico giocatore al mondo capace di toccare la palla di prima producendo assist con le spalle rivolte alla porta avversaria, i doriani vincevano 2-1. La Roma era un groviglio di presunzione, esibiva un centrocampo senza dinamismo, una difesa senza talento (con Bruno Peres che forse non ha mai difeso a sinistra in vita sua) e un attacco senza intese. E Szczesny aveva evitato che il divario fosse più ampio. Poi però si comincia a parlare un’altra lingua. La lingua dei flutti e del mistero della natura, compresa quella di Totti. Piove già al 40’ del primo tempo. Lentamente, dall’alto, durante la pausa, si scatena l’inferno. Nel buio dello stadio c’è un rumore assordante. I chicchi di grandine penetrano la copertura dell’Olimpico materializzando un’ombra malefica che si allunga sino al 2024. I posti al coperto diventano bersaglio di palline di ghiaccio che piombano a terra come proiettili: la tettoia non regge più. L’intervallo dura 80 minuti. La partita da cui la Roma era uscita rimpicciolita dalla Sampdoria e da se stessa dopo il vantaggio illusorio di Salah e la doppia sberla di Muriel (capolavoro) e Quagliarella, riprende soltanto alle 17.05, solo sei minuti prima della leggendaria Perugia-Juventus del 2000 il cui secondo tempo iniziò alle 17.11, dopo 86 minuti (nella Guida pratica dell’Aia c’è scritto: “in caso di impedimenti atmosferici ritenuti temporanei l’arbitro terrà fermo il gioco per il tempo che riterrà opportuno”).
In piena contrapposizione con l’efficacia della struttura intorno, il prato dell’Olimpico drena a meraviglia una massa d’acqua che aveva consigliato i vigili del fuoco a entrare in campo con un loro mezzo. Totti ispira, produce assist, apre squarci come se fosse stato lui ad aver chiesto alle nuvole di spostarsi, un uomo di 40 anni la cui sola presenza è musa ispiratrice, mix energetico e tampone per l’acido lattico altrui (perché con lui in campo in così tanti cambiano umore?): «Se sto così perché dovrei smettere?». Ha ragione. Nei suoi ultimi 120 minuti giocati ha segnato cinque gol, uno ogni 24 minuti. Salah ma soprattutto Dzeko, che pure due gol li fanno, sbagliano l’impossibile lanciati dal loro compagno senza tempo («ne vorrei 4 o 5 di Totti», dice Spalletti). Chi no. Con Delvecchio e Paulo Sergio il secondo tempo sarebbe finito 5-0. E Totti trasforma anche il discusso rigore del “golden gol” assegnato da Giacomelli. «Ma che si ride Giacomelli, Dzeko è un attore!», urla il presidente Ferrero. «Era nettissimo», la replica di Spalletti. Dire che a Roma il calcio è Totti, pure da fermo, e fermo non è poi così tanto, non è una frase fatta. È proprio così, è ancora così. La Roma senza Totti è grigia, in campo e fuori. La Roma di Totti è allegria contagiosa.
(La Repubblica – E. Sisti)
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