La Roma è al lumicino, la Roma è un lumicino, e al primo alito traballa. A Lione ha perso la terza partita in otto giorni e anzi di più, perché sono sconfitte che compromettono, che smantellano una stagione intera. Dopo aver messo a repentaglio campionato e Coppa Italia, adesso ha un piede fuori persino dall’Europa League, da questa specie di scialuppa di salvataggio che invece rischia di andare alla deriva pure di lei.

Il problema non è il risultato, non è questo 4-2 ribaltabile ma piuttosto questa squadra ribaltata, che non tiene più il passo degli eventi: il crollo dopo l’intervallo è stato quasi drammatico, nella sua repentinità. I giallorossi hanno retto 45’ (anzi, quei tre quarti d’ora li hanno dominati) e poi si sono svuotati, perché di questi tempi non hanno risorse per durare. La fatica si è trasmessa dalla gambe alla testa e il Lione ha imperversato con i gol (tutti bellissimi) dei suoi giocatori più dotati, a cominciare da quel Tolisso che vale davvero i 50 milioni che il presidente Aulas chiede per venderlo (li ha chiesti alla Juve, tanto per cominciare). Fin che ha avuto forze la Roma ha fatto più o meno quello che ha desiderato, incluso appisolarsi in difesa come le capita di questi tempi (sul primo gol lionese, Rafael ha anticipato De Rossi e Diakhaby Fazio): ha sciorinato pregi e difetti, vizi e virtù, si è lasciata innerbare da Nainggolan e accendere da Salah, ha singhiozzato sulle fasce ma ha imposto il suo rango, la sua responsabilità.

A dimostrazione dell’occasionalità del gol incassato, lo ha doppiato con il pareggio di Salah, lanciato da uno scivolone di Diakhaby, e con il colpo di testa del 2-1 di Fazio, gol legittimi, gol logici: avrebbe potuto farne anche altri (con Dzeko, con Strootman, ancora con Salah) se soltanto avesse saputo affondare i denti nella carne tenera del Lione, squadra di molto talento e poca personalità, a somiglianza del suo allenatore che non fa che mettere i fila i suoi ragazzi promettenti, affidandoli alle idee di Tolisso. Ma dopo il riposo, che sulla Roma ha avuto un effetto anestetico, i francesi, pure loro aggrappati a una sola partita per salvare una stagione disgraziata, si sono fatti prendere dall’entusiasmo, soprattutto quando si sono accorti che gli italiani non avevano più la forza né per organizzare un palleggio che facesse da passatempo né per dare un minimo di supporto agli scatti a vuoto, e nel vuoto, del povero Salah. Il Lione ha martellato con i tiri dal limite. Alisson ci è arrivato spesso, meravigliando con i suoi riflessi da gatto, ma non quando Tolisso, Fekir (la migliore idea di Genesio, passato con lui a un incontenibile 3-4-3 con Gonalons in difesa) e Lacazette hanno azzeccato l’angolino. Il centravanti ha festeggiato inchiodandosi immobile come una statua, mentre lo stadio gli ribolliva attorno: forse quella posa era un omaggio ai suoi avversari, e a quel secondo tempo giocato alla memoria.

(La Repubblica – E. Gamba)



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