(Il Tempo – E. Menghi) Nati per rinascere. Lo siamo tutti. Le cicatrici restano lì, qualcuna più evidente di altre, come la gamba amputata a Follman, un sopravvissuto che ha ancora la forza di calciare il pallone, dando il via a Roma-Chapecoense. Un atto di speranza, un gesto che non cancella il dolore per la tragedia del 28 novembre 2016, ma è un lasciapassare per il futuro. Per chi può ricostruirlo. Come il capitano Alan Ruschel, superstite tornato a fare il calciatore al Camp Nou per 26 minuti e di nuovo ieri all’Olimpico, con la stessa maglia che i suoi venti compagni di squadra (in tutto 71 le vittime) non possono più vestire: la dedica dopo il rigore con cui fissa il risultato sul 4-1 è per tutti loro. Indica il cielo, in quello di Medellin il disastro, in quello di Roma la rinascita. Gli applausi più emozionanti sono per lui, quando esce al 78’ il pubblico gli dedica una standing ovation.

Ovazione anche per Florenzi, fascia al braccio per la sua rinascita. Riparte da un gol scaccia paure, sblocca l’amichevole dal dischetto con un destro all’angolino che non lascia scampo alla vecchia conoscenza giallorossa Arthur. Ha il sorriso dei tempi migliori e i compagni vanno a turno ad abbracciarlo. Le sensazioni sono buone e, dopo la panchina motivazionale di fine agosto, il numero 24 ha superato la prova del campo ed è pronto per Di Francesco, che a modo suo fa notizia nei 90’ dedicati alla solidarietà: si parte con una difesa a tre con Ciavattini, Jesus e Castan, Florenzi dà una mano dietro ma di fatto fa l’esterno di centrocampo per 76 minuti. Un segnale importante per il futuro: è un jolly che può cambiare la Roma, renderla più malleabile dal punto di vista tattico. Il «vecchio» capitano non è stato dimenticato dalla curva, i gruppi della Sud hanno risposto presente all’evento organizzato per beneficenza e hanno omaggiato Totti con il coro che era un vero e proprio ritornello quando faceva il calciatore.

Sono passati meno di 4 mesi dall’addio al calcio e da quel Roma-Genoa Francesco non aveva più messo piede in campo. L’ha fatto ieri, vestito da dirigente, e ha salutato i suoi tifosi mentre i ricordi gli tornavano in testa. Ha ritirato il dono della Chapecoense, una maglia col numero 10 (ad Aldair la 6), e poi si è accomodato in tribuna tra la sindaca Raggi e Baldissoni. «Il calcio – ha detto il dg – è una piattaforma sociale potentissima. Di fronte a una tragedia umana ci siamo sentiti in dovere di allungare una mano». Con le 10mila presenze sono stati raccolti 140 mila euro destinati alla squadra ospite. I giocatori sono scesi in campo mischiati, #todosjuntosancor prima di cominciare. Non c’è Schick tra gli undici titolari, la forma non è al top, ma la giustificazione ce l’ha: non ha giocato con la Samp aspettando la Roma. Defrel può fare allora la punta, affiancato da Antonucci. Tra i cori vintage della curva (contro Lazio e Juve in particolare) va a segno al 28’ Florenzi, Perotti raddoppia dribblando il portiere e mettendo in rete sul cross di Gerson, poi Antonucci fa tris dal dischetto e poker a porta vuota. Sul penalty di Ruschel i tifosi brasiliani si scatenano: «Vamos Chape». Al 67’ tocca a Schick, benvenuto della Sud e pestone di un avversario: solo una botta. Si muove bene su tutto il fronte offensivo, per i gol c’è tempo. L’importante nello spirito di ieri sera era esserci, tutti uniti.



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