Gerson

(La Repubblica – F. Bocca) L’unico Gerson che in Italia conoscevamo finora era Gerson de Oliveira Nunes, ed era quello straordinario centrocampista, un sinistro fantastico, che la notte di Italia-Brasile nel 1970 giocava accanto a Rivelino e Pelé, facendoci piangere parecchio. Il Gerson della Roma – più precisamente Gerson Santos da Silva – con un gran sinistro e 20 anni ancora molto acerbi, non diventerà forse mai così grande. Ma la Roma comunque decise un anno e mezzo fa di investirci 19 milioni di euro, e solo adesso – dopo parecchie peripezie – quei soldi cominciano a essere ripagati. I due gol iniziali che Gerson ha fatto alla Fiorentina, poi sommersa anche dalle reti di Manolas e Perotti, sono stati il preludio di un grande pomeriggio da cui la Roma ha guadagnato forse più di tutti, riproponendosi come squadra che allo scudetto tiene parecchio e che non si sente certo inferiore al Napoli, alla Juve o alle altre.

Forse non doveva nemmeno giocarla questa partita Gerson, ma Di Francesco lo ha riproposto col solito gusto della sorpresa, e del turn over intuitivo che gli riesce così bene. «Lo conosco da anni, fin dai tempi in cui ero al Sassuolo, per me è un esterno alto», ha detto l’allenatore. E infatti lì lo ha messo, posizione dalla quale ha colpito due volte la Fiorentina al mento, destro e sinistro come un pugile. I viola, già preoccupati dal ko col Crotone e per questo duramente fischiati alla fine, sarebbero stati così fiaccati dalla rimonta, che poi nel secondo tempo per la Roma vincere la partita è stata una passeggiata. E l’unica difficoltà praticamente solo la pioggia. Walter Sabatini che su questi giocatori ha sempre avuto un gran fiuto, ma le cui scommesse sono state anche molto rischiose, per convincerlo ad accettare la corte della Roma anziché quella del Barcellona, gli portò una bella maglia giallorossa col numero 10. Che ovviamente fece molto scalpore a Roma, un vero e proprio prepensionamento del totem Totti. E infatti, una volta ingaggiato il giovanissimo talento con un padre manager molto intransigente, quello fu l’inizio di una storia parecchio tormentata. La Roma, non potendo più tesserare per regolamento extracomunitari, cercò di parcheggiarlo al Frosinone, trovando un netto rifiuto. E così dovette lasciarlo ancora in Brasile alla Fluminense.

Alla fine Gerson lo scorso anno ha giocato poco o niente, mentre Di Francesco ci ha investito – è stato titolare a Londra contro il Chelsea – e con lui ha trovato un certo feeling. «Gerson è stato protagonista non per caso – ha detto l’allenatore – Ha acquistato fiducia per merito, perché lavora nella maniera giusta, non per simpatia». Per dire che il turnover consente a tutti di sentirsi considerati e non inutili come forse era capitato in passato. Leggi Spalletti. Il ragazzo è uscito un po’ zoppicante, preoccupando subito tutti. «Ma non è niente – ha detto – solo un po’ di fastidio. Lo scorso anno ho avuto alcune occasioni forse non sono stato bravo a sfruttarle. Ho risentito del passaggio dal calcio brasiliano a quello italiano. Quest’anno ho cominciato subito con una testa diversa». Pare proprio allora che Gerson non sia un Gabigol. Chi bisogna ringraziare allora per lo scampato pericolo? «Dio, l’allenatore e la squadra».



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