Che cosa ci fa l’allenatore Marcello Lippi negli Stati caraibici di Saint Vincent e di Antigua? Non è una nuova avventura calcistica, dopo quella cinese, per il mister campione del mondo, ma di geopolitica del pallone: un progetto di cooperazione internazionale nato da una collaborazione tra il ministero degli Esteri, il Coni e la Federcalcio. L’obiettivo è di esportare alcuni dei nostri maestri di calcio per laboratori tecnici di qualche giorno e così coltivare le relazioni diplomatiche. Tradotto ancora più chiaramente: è un modo per tenerci amici quei Paesi e poter, in futuro, sfruttare quei buoni rapporti. Tutto questo puntando sul calcio, che è nonostante tutto un settore nel quale ancora ci vengono riconosciuti dei meriti.

L’iniziativa però non è piaciuta ad alcuni operatori delle organizzazioni non governative. Dove è il problema? Alcuni tra gli Stati che ospitano questi workshop sono nelle liste dell’Ocse sui paradisi fiscali: patrie preferita dagli evasori. Non parliamo solo di Saint Vincent e Antigua, dove Lippi ha tenuto i suoi laboratori tra il 2 e il 5 maggio. Proprio in questi giorni, per esempio, è in corso un altro stage per giovani calciatori del Tuvalu (Oceania). A portare le proprie competenze sportive fuori dall’Italia, in questo caso, sono l’allenatore della nazionale femminile under 19 Enrico Sbardella e Stefano D’Ottavio, coordinatore dei preparatori atletici delle nazionali. Dal 3 al 5 giugno, inoltre, è toccato anche al presidente dell’Associazione italiana allenatori Renzo Ulivieri: l’ex tecnico del Bologna ha insegnato l’arte del pallone nelle isole Barbados. Tutti Paesi considerati paradisi fiscali. Si ricorderà, per esempio, la polemica sulla villa ad Antigua dell’ex premier Silvio Berlusconi. Per quale motivo allora l’Italia sta investendo per coltivare i rapporti diplomatici con questa regione del mondo? Proprio questo si stanno chiedendo alcuni operatori delle ong. “In tutti questi posti – scrivono sulla pagina Facebook di Cooperazione, solidarietà e sviluppo – nemmeno dovremmo mettere piede se non con i cani antidroga e l’Interpol per arrestare narcos ed evasori e invece alleniamo le loro squadre di calcio”

Per la Farnesina, invece, si tratta di progetti con un fine meritevole, ascritto in un’operazione che in gergo tecnico viene definita di capacity building: consiste nel cooperare per rimuovere gli ostacoli che in alcune zone del mondo non permettono di sviluppare competenze in determinati settori. Ci sono stati, tra gli altri, corsi per il contrasto alla criminalità organizzata e ai flussi finanziari illeciti. “I paesi caraibici – spiegano dalla Farnesina – hanno chiesto la nostra assistenza anche per il calcio che, vista la nostra storia vincente, la qualità della preparazione tecnica e l’organizzazione del sistema, rappresenta un canale di dialogo privilegiato a livello internazionale”. Insomma, ci chiedono i pallone? E noi lo portiamo. Il fatto che quei Paesi prestino il fianco all’evasione fiscale non ha impedito l’investimento diplomatico che ha anche altre ragioni: “La scelta di Tuvalu – scrivono dal ministero – è coerente con il crescente sostegno italiano ai piccoli Stati insulari del Pacifico, la cui stessa esistenza è minacciata dai cambiamenti climatici e che sono quindi nostri importanti partner nei fori multilaterali per quanto riguarda ambiente, clima ed energie rinnovabili”. Quantificare il costo sostenuto dal dipartimento di Cooperazione internazionale non è facile perché si è tradotto soprattutto in un “ruolo organizzativo-logistico – come spiegano dalla Farnesina – e di facilitazione dei contatti in loco. I costi (limitati alle spese di viaggio e soggiorno degli allenatori) ammontano in totale a circa 28 mila euro, sostenuti quasi integralmente dalla Federcalcio”. Le cifre contenute non placano la rabbia del volontariato, che in questi giorni è tornato a definire “insufficienti” i fondi appena stanziati dal governo per i progetti di cooperazione internazionale.

(Il Fatto Quotidiano – R. Rotunno)



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