AS ROMA NEWS MALORE NDICKA DE ROSSI – Daniele De Rossi si sente ancora calciatore e vive la partita in piedi, quasi sulla linea davanti alle panchine, compie dei gesti d’istinto quando la palla passa vicino, incita e scuote i suoi ragazzi. Poi si volta verso lo staff e commenta: è il senso del gruppo, scrive La Gazzetta dello Sport.
Quando Evan Ndicka è a terra dall’altra parte del campo rispetto alla sua postazione, anche lui scatta con i suoi ragazzi. Sono arrivati dei segnali chiari da chi sta vicino al difensore. L’allenatore è vestito di blu, pantaloni e maglietta, prima si morsica le dita, poi si agita, si gira verso la tribuna: quasi tutti cercano di sollecitare i soccorsi, cercano più infermieri, più barellieri, per andare ad aiutare il giocatore.
De Rossi ruota le braccia, le mette davanti alla faccia, poi le toglie. Tutti hanno capito che la situazione è grave: tanto che quando il gruppo dei giocatori accanto a Ndicka si volta verso gli spettatori cercando a gesti il silenzio, tutto lo stadio di colpo si spegne. Non ci sono più bianconeri o giallorossi, ma 25 mila persone in un’arena stracolma mostrano il rispetto per il momento drammatico.
L’allenatore ha il viso tirato, gli si legge in faccia la paura: parla con i giocatori, con l’arbitro Pairetto, con Gabriele Cioffi, il collega. Quando Ndicka esce in barella, gli va incontro, quasi lo accarezza sulla testa. Il giocatore mostra un cenno di assenso, alza il pollice, poi viene portato negli spogliatoi e partono i colloqui sul campo, all’ingresso del tunnel. Ci sono i giocatori riuniti in circolo, le telecamere e i microfoni vicini lo inquadrano, sentono l’allenatore dire che «i ragazzi non ce la fanno a giocare». Non si sente sicuro, De Rossi. Chiede all’arbitro di poter andare negli spogliatoi, ci va con Gianluca Mancini che aveva tolto la pettorina e doveva entrare al posto di Ndicka, se fosse stato un infortunio normale.
L’arbitro gli ha concesso la corsa nello spogliatoio per rivedere il suo difensore, anche se solo per pochi minuti. Quando De Rossi torna parlano le facce, la sua, quella di Cioffi mentre gli spiega di nuova la condizione. Non si tratta più di avversari, di pallone, di vincere e perdere. C’è un dolore umano, uno spavento che accomuna. «Faccio quello che volete» ha detto l’arbitro.
L’altoparlante ha comunicato l’interruzione della partita qualche istante prima del triplo fischio di Pairetto, poi fa sapere anche che non si sarebbe ripreso, togliendo gli ultimi dubbi agli spettatori meno abituati a questo tipo di situazioni, alle partite interrotte. A bordo campo tutti si confortano, qualcuno si abbraccia. De Rossi rincuora un paio di giocatori. Da metà gennaio è entrato nello spogliatoio con la sua personalità e la sua carica di romanità, ha portato serenità e successi: dieci vittorie, quattro pareggi e due sconfitte, la zona Champions di nuovo praticabile, la semifinale di Europa League che non è un’utopia.
Ma è in questi frangenti che si vede come il suo carisma serva per tenere uniti i sentimenti, per mettersi in testa al gruppo e dettare la linea. Quando alla sera tutta la squadra arriva all’ospedale per rivedere Ndicka, l’allenatore entra nel padiglione di cardiologia e va a parlare con il suo difensore. Con le parole scherzose si sono confortati entrambi.
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