Spicca, mastodontico, grande come le future cubature dello stadio di Tor di Valle. È il vuoto del programma elettorale della Raggi al punto, mancante, relativo alla costruzione dell’impianto della Roma. La promessa che non c’è – ossia il facciamo lo stadio, diventato nello slang internettiano super-pop #famostostadio – sembra quella che si sta avverando. All’insegna della coerenza, che anche quella non c’è, oppure esiste alla maniera in cui la canta Caparezza: «Mi contraddico facilmente / ma lo faccio così spesso / che questo fa di me una persona coerente». E il caso di Di Maio è perfetto in questo senso. «Noi manteniamo le promesse e rispettiamo il programma. Dunque faremo lo stadio come abbiamo detto in campagna elettorale». Peccato però che in «Una Capitale a 5 stelle», gli 11 punti programmatici con cui la Raggi è arrivata al Campidoglio a furor di popolo nello scorso giugno, non si faccia menzione dello stadio. Il punto numero nove è dedicato a «Arte, cultura e sport» e vi si legge: «Impianti sportivi messi in regola ed efficienti, aggiornamento delle tariffe, parchi e ville trasformate in palestre all’aperto». Villa Ada, però, non è diventato un palazzetto dello sport open air, Villa Pamphili non sembra in via di trasformazione verso un impianto outdoor per ginnastica o atletica o danza e così gli altri parchi cittadini. Ma lo stadio? Quello che non c’era, come obiettivo programmatico, potrebbe esserci, al contrario di tutto ciò che veniva citato e che al momento non sembra in procinto di vedere la luce. Eppure, l’invettivista Alessandro Di Battista continua ad assicurare: «Se il movimento dice che una cosa si fa, quella si fa». Ma prima ancora di dire che lo stadio non si sarebbe fatto, del progetto di Tor di Valle non si parlava neppure nel programma elettorale per esteso di M5S.

DIETROFRONT – Se «Una Capitale a 5 stelle» è stata la short form della più ampia e dettagliata piattaforma di interventi promessi dai grillini per il governo della città, anche nel testo vero e proprio – gli «11 passi per portare a Roma il cambiamento di cui ha bisogno» – la costruzione dello stadio è assente e si parla invece della «realizzazione di punti jogging», di «strade ciclabili e percorsi per mountain bike e skatepark». E ovviamente della «messa in regola degli impianti» già esistenti. Queste realizzazioni, ad occhio nudo, sono invisibili. E del resto il «Campidoglio come casa di vetro» ancora non s’è materializzato, e altre promesse del programma svanito riguardano gli «investimenti nel trasporto pubblico» (ma sono sempre quelli di Marino e di Tronca): i pannolini riciclabili (ma il riciclo non c’è); una città senza periferie (sono sparite?); il «superamento dei campi rom» (superati?); «gli affitti che non superino il 20 per cento del reddito» (chi li ha visti?). E via così. La «distribuzione dei migranti in maniera equa nei vari quartieri e la verifica puntuale della loro integrazione»? E il Teatro Valle che presto «tornerà a disposizione della cittadinanza»? Promesse.

STRAVOLGIMENTI – Ma sullo stadio una promessa scritta non c’era, al suo posto solo il silenzio, e però le promesse orali – sia prima sia dopo la vittoriale elettorale – si sono sprecate. Ma sempre all’insegna del no. «Se di- venterò sindaco – annunciò la Raggi il 5 marzo 2016 – ritirerò la delibera per l’impianto di Tor di Valle. Perché noi ci opponiamo a qualsiasi operazione edilizia che sia solo speculativa». E tutto il movimento godeva per questo no, così come ora soffre in buona parte per il probabile sì al ritmo del Berdini adieu. D’altronde, al tempo in cui il progetto venne votato in assemblea capitolina il 22 dicembre 2014, i consiglieri grillini (e la Raggi tra di loro) si opposero e le loro parole sono identiche a quelle che oggi pronunciano gli anti-stadio: «Viene stravolto il piano regolatore. E con la scusa di uno stadio si costruisce un intero quartiere in una zona ad alto rischio idro-geologico. Andando oltretutto ad intasare un intero quadrante della città». E il 17 luglio 2014, quando i privati avevano presentato il loro progetto, il comunicato ufficiale di M5S lo bollò così: «Una follia!». E ancora: «L’interesse privato di pochi amici viene camuffato da interesse pubblico». La promessa programmatica che non c’era diventa dunque una promessa opposta alle premesse: dal niente, al no, al sì. Un sì che capovolge anche il parere tecnico decretato pochi giorni fa dal Campidoglio con questa dicitura: «Il parere unico di Roma Capitale sul progetto definitivo dello stadio è non favorevole». Cioè l’opposto di quanto poco dopo avrebbe twittato Marcello De Vito, il presidente dell’assemblea comunale: «Nun te preoccupa’ Capitan Totti #famostostadio e #famolobene». E il grido curvaiolo «ahhhheeee… ohhhh…» diventa l’esca per risalire nei sondaggi.

(Il Messaggero – M. Ajello)



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