Josè Mourinho

AS ROMA NEWS FEYENOORD MOURINHO – La storia cambia attori e situazioni, ma anche in quel 2003 rombavano i cannoni. A fare la faccia cattiva era l’Occidente e a difendersi toccava all’Iraq che, onestamente, non riscuoteva grosse simpatie. Ma il 21 maggio, lontano dalla guerra in Medio Oriente, in una Siviglia calda come questa Tirana acconciata a festa, si cominciava a scrivere una epopea calcistica che ci avrebbe fatto compagnia per più lustri, scrive La Gazzetta dello Sport.

Il Porto di José Mourinho vinceva la Coppa Uefa sconfiggendo il Celtic Glasgow e l’allenatore portoghese saliva alla ribalta dell’universo del pallone conquistando il primo titolo europeo della sua carriera. Ne sarebbero giunti altre tre, anche in latitudini diverse. Quanto basta per costruire la mitologia dello Special One, che stasera in Albania prova a vivere un quinto atto in una Coppa tutta nuova, la Conference League, che gli potrebbe essere ascritta già alla prima edizione. Una medaglia in più da mettere sul petto, stavolta per merito della Roma, che manca da una finale europea dal 1991, quando i giallorossi furono sconfitti in Coppa Uefa dall’Inter.

Il passato, però, per Mourinho è terra straniera. Le Champions vinte col Porto nel 2004 e con l’Inter nel 2010 (l’ultima coppa vinta da un club italiano) sono ormai narrazione tramandata, così come l’Europa League vinta nel 2017 col Manchester United. Non contano più nulla, così come nulla valgono le tre sconfitte nelle finali europee rimediate tutte in Supercoppa. Oggi è l’atto conclusivo di un’avventura cominciata per il Feyenoord con i preliminari del 22 luglio e per la Roma il 19 agosto. I giallorossi stanno per scendere in campo per la partita numero 55 della stagione. L’ultima.

«È un momento ricco di significati — dice il portoghese —. Abbiamo giocato due finali in quattro giorni, vincendo la prima e qualificandoci alla prossima Europa League. Ma a Torino non si poteva scrivere la storia. Per la Roma arrivare al sesto posto è una posizione normale. Questa finale, invece, è una cosa diversa. È già storia, perché arriva dopo tanti anni di assenza. Dobbiamo fare tutto il possibile per vincere, anche se non credo alle pozioni magiche, ma solo al lavoro quotidiano e al lavoro dello staff e della squadra. Comunque andrà, per me è una stagione positiva. In ogni caso una finale è una cosa che serve per crescere».

C’è anche chi gli ricorda come — se considerassimo anche la Coppa delle Coppe vinta nel Barcellona nel 1997 come assistente di Robson — potrebbe essere l’unico allenatore della storia ad aver vinto tutte le coppe europee. «Se vinciamo col Feyenoord. Se…», ammonisce l’allenatore portoghese, che (senza riuscirci) prova a distogliere l’attenzione dalla sua persona. «Il mio carisma non può fare la differenza. All’ultima partita della stagione il lavoro è già fatto. La leadership non si può mettere sul tavolo, perché l’ultimo atto fa parte di un processo. Noi allenatori siamo fuori, cerchiamo di aiutare, di leggere la partita. Per questo non ci sarà niente nella mia testa. L’esperienza non aiuta, speravo lo facesse, ma ciò che provo è uguale a quando preparavo alla prima finale, dopo venti anni non è cambiato nulla». Mou cancella anche la scaramanzia. «Sono fra i pochi a non esserlo nel calcio e litigo anche con gli altri. Non mi interessa neppure sapere con quali maglie giocheremo. Penso al Feyenoord, che come tante squadre olandesi ha una grande tradizione».

Tutto vero, ma stasera ad aiutare la Roma ci sarà anche il tifo di tutta l’Albania. Basti pensare che fuori dallo stadio campeggia una immagine gigantesca del murale romano che raffigura Mourinho in Vespa. «Il feeling c’è perché abbiamo un giocatore albanese e, se vinciamo, alzerà la coppa — prova a schermirsi il tecnico —. Ma qui mi pare tutto molto bello, anche l’aeroporto, a differenza di quello di Eindhoven, dove dopo aver battuto il Vitesse ci hanno tenuto due ore come fossimo criminali».

La frecciata agli olandesi è servita. Quanto basta per accompagnare agli ottimistici titoli di coda: «Abbiamo gestito bene l’euforia degli ultimi giorni. L’obiettivo in campionato è stato raggiunto ed è stato il miglior modo per pensare solo a questa finale. Io e mio staff è da venerdì che non usciamo da Trigoria. Ai giocatori non potevo chiederlo, ma loro stanno molto bene lo stesso. Hanno gioia, concentrazione e tensione giusta». La parola chiave però è gioia. Quella che Roma è pronta a far esplodere stanotte se lo Special One centrerà un’altra impresa.



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