(La Repubblica – M. Pinci) Alla fine di Roma-Liverpool l’arbitro Skomina ha rivisto le immagini e, distrutto, si è quasi scusato con qualche dipendente romanista: «Abbiamo fatto un macello». Mentre il mondo iniziava a invocare il Var in Europa, il primo a rimpiangerlo era proprio lui. Qualcuno è arrivato a sostenere che col Var la finale sarebbe stata Bayern-Roma, semifinaliste sconfitte e penalizzate da errori arbitrali. Era già successo in questa manifestazione a Juventus, Psg ( col Real) e Manchester City ( col Liverpool), alimentando la domanda: che Champions sarebbe stata con la moviola in campo? «L’Uefa non è contraria al Var assicura Michele Uva, vicepresidente Uefa e dg della Federcalcio, ieri a Nyon – e lavora affinché la tecnologia venga testata in un numero sempre maggiore di Paesi, per raggiungere determinati standard che ne garantiscano l’applicazione omogenea nelle coppe». Il presidente Ceferin chiede che la moviola venga usata quando tutti saranno pronti. A cominciare, evidentemente, dagli arbitri. Un tema centrale per l’Uefa infatti è quello della preparazione: quanti sono oggi i fischietti capaci di utilizzare il Var? Gli italiani, i tedeschi, i portoghesi, i polacchi, gli olandesi. Quelli che lo stanno testando nei campionati nazionali. Ma in Champions, dalla fase a gironi alla finale, vanno in campo 32-35 arbitri diversi, e di varie nazionalità. Formarli richiede tempo, strutture, anche soldi. Poi c’è un tema di logistica e tecnologia: il cablaggio degli stadi, la garanzia di trasmissione in tempo reale del segnale video, per evitare un black out che lascerebbe un arbitro per 2-3 minuti nell’incertezza. È capitato in Italia e Germania, figurarsi le difficoltà in paesi più piccoli o in cui la rete non offre prestazioni impeccabili. Difficile è pure garantire l’identità di vedute tra arbitri dello stesso Paese, figurarsi di varie federazioni. Adeguare gli stadi ha un costo, almeno 300/ 500mila euro a stadio. Nulla, per una manifestazione come la Champions che fattura ogni anno 3,2 miliardi. Ma tanti Paesi si rifiutano di rinunciare anche a un solo euro di premi in favore dello sviluppo tecnologico, in cui magari credono poco. Se la Liga spagnola è pronta a introdurre il Var, infatti, in Premier resterà una sperimentazione off- line anche il prossimo anno, i club hanno appena votato contro. Per vincere le resistenze conservatrici di federazioni che faticano ad aprire alla tecnologia, serve un indirizzo politico forte. La Fifa lo ha dato portando il Var ai prossimi Mondiali. Scelta che costringerà l’Uefa a fare una valutazione netta in chiave Euro 2020: dopo il Mondiale, sarà complicato fare un passo indietro sul Var. Ma per avere una classe arbitrale formata e pronta per l’Europeo, sarebbe utile “ prepararla” al Var nella Champions 2019/ 20. Anche per evitare l’effetto attuale, quando un campionato come quello italiano può usufruire di un prodotto evoluto che però non si ritrova nella massima manifestazione continentale. Una distonia che finisce per influenzare anche il rendimento arbitrale. Un esempio concreto: quando il nostro Gianluca Rocchi arbitra in Italia sa di aver il paracadute del video assistente. Quando va in Europa, deve utilizzare gli addizionali. Un disallineamento che ha influito pure sul rendimento di altri “ big” come il polacco Marciniak, il tedesco Brych o l’olandese Makkelie. Una prospettiva potrebbe essere un’introduzione graduale. Per ridurre il numero di arbitri da “formare” e di stadi da adeguare, perché non imporre il Var dagli ottavi di finale? Una strada simile a quella utilizzata in Italia in Coppa Italia e in Inghilterra in Fa Cup: per garantire squadre e arbitri nei match a eliminazione diretta ed evitare che un altro Skomina debba arrivare a chiedere scusa.
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