Tra Juve e Roma la lotta è a fior di pelle e, per leggere la sfida sul corpo di 6 giocatori, serve un esperto: il russo Nicolai Lilin, tatuatore e scrittore di successo («Educazione siberiana»).

DANI ALVES – Lui e i suoi tatuaggi staranno a casa: niente Juve-Roma per colpa di una frattura (composta) del perone. A Lilin è caduto l’occhio su alcuni particolari del costato destro: «C’è qualche immagine che potrebbe ricordare la malavita, a partire da una corona, simbolo di gruppi giovanili delle gang latine. Quelle immagini non significano che Dani ne faccia parte, ma chi arriva dalla strada raccoglie in qualche modo quella cultura: sono simboli di una società maledetta, aiutano a sentirsi forti e virili. Soprattutto gli elementi più deboli, fragili, schiacciati dalla società». Non è certo il caso di un terzino virtuoso. Anzi, sulla pelle esibisce la sua religiosità: «Ha un Cristo col sacro cuore sul braccio sinistro: è dimostrazione di spiritualità, bisogno di Dio». Niente demoni, morti e teschi, altro che malavita, Dani ci mostra solo «una immagine positiva».

STURARO – Stefano Sturaro esprime l’animo da combattente sempre col corpo: lo noti dalla fisicità nei contrasti in campo, lo confermano le immagini sparse sulla pelle. «Ha bei tatuaggi, alcuni riprendono il ghetto americano come quel “Boss” sull’avambraccio», spiega Lilin. E poi, più nel dettaglio: «Spicca un grande tatoo maori, dentro a cui si intravede una tartaruga: secondo la tradizione, è simbolo di fertilità femminile. Trattandosi di un uomo, potremmo dedurre che ha voglia di un figlio, oppure lì si annida il ricordo della madre». Ciò che risalta e intimorisce è quella spada incisa sul petto, quasi un messaggio per chi lo incrocerà sabato sera: «Ha un ego guerriero e la conferma è proprio nella grande arma tatuata – continua lo scrittore russo –. Nel manico un tirapugni: così Sturaro denuncia le sue caratteristiche, ammette di essere una spada nelle mani di qualcun altro, in questo caso della Juve».

MANDZUKIC – Nel corpo ricoperto, inondato di immagini, si trova di tutto: coppia di dadi, preghiera in croato, zodiaco, poker d’assi e, immancabile, un pallone. «Come in tutti i calciatori, si nota subito un tratto consumistico dei tatoo: pochi hanno una reale profondità – ammette Lilin –. È normale, comunque, che chi appartiene a una comunità, si tratti del carcere o di una squadra, racconti sulla pelle qualcosa di sé con l’intento di mostrare il proprio carisma». Sul tema, Mandzukic può scrivere un saggio perché in campo trascina gli altri con ardore: «Ha una croce sul braccio, non un Cristo: più che orgoglio della fede, significa obbligo, rigore, rifiuto delle debolezze in nome di qualcosa di più grande».

NAINGGOLAN – Il petto tutto dipinto è una sciarada: riuscire a leggere su Radja Nainggolan quel «One life one wish» («Una vita, un desiderio») è già un esercizio per i più attenti. In fondo, il corpo del centrocampista belga sembra Wikipedia. Una miniera di informazioni, tra amori e passioni, nomi e date. E un numero su tutti: il 4 della maglia giallorossa. Poi sulla schiena una figura alata con sotto la scritta «Rest in peace». E ancora, qua e là, un rosario, un microfono con un paio di cuffie, fino al dettaglio sul braccio sinistro: lì c’è una carpa, simbolo di coraggio. Lilin, invece, «oltre allo stile giapponese molto sfumato», si sofferma su un’altra immagine del corpo di Radja, «più potente e più enigmatico»: «La rosa rossa che ha sul collo è un simbolo nomade – racconta –: in quelle società, soprattutto nei Balcani, identifica il leader del gruppo, il capo nobile. È anche una immagine legata alla tradizione religiosa, racconta la trasmissione del messaggio di Cristo nei re occidentali».

DE ROSSI – Daniele De Rossi lavora di tenerezza e di fantasia: per questo la figlia Gaia si merita molti dolci tattoo. In uno c’è un Teletubbies con le parole di “Favola” dei Modà: «Gliela cantavo per addormentarla», ha detto papà Daniele. Cattivo in campo, autoironico fuori: chi è, se non lui, quell’uomo con capello da pescatore colorato e barbona rossa che contiene un’antenna radio? Naturale a Roma, la scritta in latino – sul braccio destro si legge «Ubi tu gaius, ibi ego gaia» (Dovunque tu sia, lì io sarò) –, ma col tatuaggio sul polpaccio Daniele ha fatto proseliti: si vede sempre più spesso in giro quel segnale di pericolo per possibili tackle pericolosi. Divertente, anche per il rigoroso Lilin: «Tatuarsi è una cosa seria, ma apprezzo molto l’approccio divertente di De Rossi. L’immagine del fallo di gioco è all’interno del simbolismo stradale, ma c’è dell’altro: il triangolo, anche inconsapevolmente, è un segno maschile. La punta in alto, sin dall’antico Egitto, esprime la virilità. Significa forza davanti all’eterno».

PEROTTI – Sulla pelle dell’esterno della Roma, adesso si parla solo di calcio: prima un bacio adesso uno scarpino, con il numero 10 ricamato sulla linguetta, e un pallone. Nel passaggio da un tatuaggio all’altro, c’è qualcosa da spiegare: «Penso a una svolta nella vita, o semplicemente alla voglia di cambiare scegliendo un simbolo che ha più a che fare con la sua professione – azzarda Lilin –. Ma, qualunque motivo ci sia sotto, Perotti ha fatto bene a liberarsi del bacio. Forse non lo sapeva, ma è stato adottato da molte gang latine: sembra un 13, quindi simboleggia la lettera M, che sta per “Mara Salvatrucha”». Con il nuovo collo, si evitano così dei fastidiosi contrattempi: «In certi quartieri del Sud America, sia la polizia che la gente possono pure vederti male se hai un bacio sul collo…».

(Gazzetta dello Sport)



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