Paola Minaccioni

ULTIME NOTIZIE AS ROMA PAOLA MINACCIONI – Quando parla di suo padre, Paola Minaccioni s’illumina. L’attrice è stata intervistata da La Gazzetta dello Sport: “Era un grande. Qualche tempo fa ho ritrovato delle vecchie foto. Papà con Bruno Conti a New York, papà che festeggia nello spogliatoio della Roma, poi con Pruzzo, con Viola…”.

Già perché papà, Roberto Minaccioni, è stato per quasi quarant’anni il massaggiatore dei giallorossi, un volto storico per i tifosi, un sostegno prezioso per centinaia di giocatori, dalla metà degli Anni 50 fino agli Anni 80.

Che cosa pensa guardando queste foto?

“La prima cosa che colgo è la fatica, fisica e umana, la semplicità della fatica del lavoro. Erano tempi più sereni e le persone avevano maggiori certezze. Mio padre era uno sportivo, con un passato da giovane campione di ciclismo prima di andare in guerra, in Africa, e ci ha passato l’idea che con l’impegno e la fatica avremmo avuto dei risultati. È un principio facilmente applicabile nello sport, ma che ho fatto mio nella professione di attrice e nella vita. Un’altra cosa che noto osservando questi scatti è la semplicità del calcio, soprattutto rispetto ad oggi: mio padre faceva un lavoro prestigioso, ha girato tutto il mondo, lo chiamavano Mani d’oro, eppure riusciva a conservare una buona dose di rapporti interpersonali reali. Eravamo molto legati a Bruno Conti, Pruzzo e Righetti, il mio primo cane ce lo regalò Giuliano Musiello, con cui tra l’altro facevamo strepitosi campeggi. Sono foto che trasmettono una certa classe, ma che sembrano arrivare da un altro mondo”.

Com’è stato crescere a stretto contatto con il calcio?

“Sono nata su un campo da calcio ed era naturale stare in mezzo a quelli che per me bambina erano solo dei signori alti, ma che crescendo ho capito essere degli dei per gran parte dei romani. Era scontato giocare con quei palloni durissimi al Tre Fontane, così come andare allo stadio. Quello che non riuscivo a capire era la gente urlante che si aggrappava alle reti… Ricordo molto bene una volta che entrai nello spogliatoio mentre i giocatori si stavano cambiando, c’era Francesco Rocca di spalle nudo… Ero piccola, ma quello con i glutei di Rocca fu un incontro importante (ride, ndr), capii che non dovevo varcare quella soglia. Ricordo pure il tremendo odore di canfora che riempiva casa, visto papà faceva lì le sue creme: se oggi pensiamo all’As Roma che utilizza creme fatte in casa viene da ridere. Alla fine ho vissuto la normalità della notorietà, come ha sempre fatto mio padre e come faccio tuttora nel mio lavoro: sono una che fatica a tirarsela e non è sempre un pregio!”.

Avendo vissuto così da vicino il calcio di allora, che idea ha di quello di oggi?

“A me il calcio piace sempre, anche adesso che gli interessi economici superano quelli sportivi, cosa che peraltro non avviene solo nello sport. Ma rispetto a un tempo percepisco qualcosa di finto, di meno credibile. La Roma resta la mia grande passione, anche se la seguo con più distacco. Mi piace Lorenzo Pellegrini, capitano e romano, fattore che per me rimane importante. Questo non significa che i non romani non si impegnino per la squadra, anzi, ma difendere le origini ha un valore. Uno come Totti è stato fondamentale e vi confesso che da piccole io e mia sorella eravamo pazze del principe Giannini… Sono cose che fanno parte dell’immaginario collettivo della città”.

Le sue passioni sportive si fermano alla Roma?

“Assolutamente no. Restando al calcio, questo fatto che non siamo ancora qualificati per il Mondiale mi sciocca, è come se a un napoletano stessero per togliere la pizza! Abbiamo vinto l’Europeo, possibile che non basti? Io ci resto male… La squadra di Mancini poi è stata meravigliosa, ci ha fatto stare bene tutti. Io stavo girando la serie di Ozpetek Le fate ignoranti e non vedevamo l’ora di vedere le partite, abbiamo festeggiato sul set, è stato fantastico. Forse i giocatori sono un po’ stressati, dovrebbero riposare di più, ma quello che conta ora è fare bene questi playoff e andare in Qatar come è giusto che sia”.

Segue altri sport?

“Amo follemente le Olimpiadi. Subisco il fascino di questi ragazzi, per me rappresentano un modello bellissimo di vita. Riesco ad apprezzare profondamente il loro impegno e resto sempre colpita dalle loro storie. Prendete Marcell Jacobs, la sua crisi, il fatto che si sia dovuto affidare a un mental coach: trovo quella ricerca esistenziale davvero commovente, alla fine è l’esposizione pubblica di un percorso che dovremmo fare tutti”.

C’è qualche storia sportiva, magari al femminile, che le piacerebbe portare sullo schermo?

“L’argomento certamente mi interessa, ma vorrei trovare una storia poco nota, magari di una donna che ha scelto di fare uno sport solitamente declinato al maschile. E mi concentrerei sull’aspetto psicologico, sulla testa del campione, che è sempre e comunque la chiave. Lo sport è comunque pieno di atlete immense, ma sarebbe difficile aggiungere qualcosa a quello che già sappiamo: penso a una Federica Pellegrini, lei è già la storia della sua storia, una campionessa con una carriera infinita, intelligente e ironica, ma anche capace di fare un passo indietro quando necessario. Storie come la sua o come quella di Simone Biles sono importanti, per ognuno di noi”.



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