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Rassegna stampa

Morte Paolo Rossi: l’eroe del Mundial 1982 che trascinò l’Italia e divenne Pablito

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ULTIME NOTIZIE MORTE PAOLO ROSSI – E’ morto Paolo Rossi all’età di 64 anni. Esplose nel Lanerossi Vicenza di G.B. Fabbri, un miracolo del calcio provinciale che nel 1977/78 chiuse al secondo posto in serie A dietro alla Juventus grazie ai 24 gol dell’esile ragazzino di Prato che vinse il titolo di capocannoniere. Cresciuto nella Juventus, i bianconeri mandarono quell’ala troppo gracile a farsi le ossa al Como dove lo notò Fabbri e fu la fortuna di entrambi. Il ct Enzo Bearzot lo convocò per i Mondiali di Argentina ’78 e Rossi non tradì le aspettative trascinando gli azzurri a suon di gol (tre alla fine) fino in semifinale, persa contro l’Olanda.

L’Italia finì quarta e impazzì per Rossi, tanto che la Juve di Giampiero Boniperti (ancora proprietaria di metà cartellino) e il Vicenza di Giusy Farina andarono alle buste per risolvere la comproprietà. La spuntò il presidente dei veneti per la cifra record di 2 miliardi e 612 milioni di lire, uno sproposito per il calcio dell’epoca «Paolo – si giustificò Farina – è la Gioconda del nostro calcio».

Ma la stagione successiva fu un disastro per il Lanerossi, che retrocesse in B nonostante i 15 gol di Paolino Rossi che, nell’estate del ’79, si rese protagonista del “gran rifiuto” al Napoli: «Che vado a fare? Il salvatore della patria?». Scelse quindi di andare al Perugia, altra provinciale rampante con una sorte simile al Lanerossi: prestito biennale da 500 milioni a stagione con gli umbri che l’anno prima erano finiti al secondo posto e imbattuti. In panchina Castagner. Rossi a Perugia non trovò la gloria, ma la disgrazia del calcioscommesse. Accusato di aver truccato Avellino-Perugia, venne arrestato al termine del match dell’Olimpico contro la Roma. Processato insieme a decine di altri giocatori (fra i quali i laziali Giordano e Manfredonia astri nascenti del calcio italiano), la giustizia sportiva lo squalificò per due anni costringendolo a saltare gli Europei dell’80.

Solo la lungimiranza di Bearzot lo salvò dall’oblio. Il ct lo convocò contro tutti e tutto per il Mundial di Spagna ’82 e lo mise in campo nonostante i due anni senza partite ufficiali (passò alla Juve con la quale giocò qualche match prima dell kermesse spagnola). Le tre partite del girone eliminatorio contro Polonia, Perù e Camerun furono disastrose, la critica lo fece a pezzi e già si ipotizzava il rientro in Italia con lancio di pomodori ad attendere lui è Bearzot.

La partita con il Brasile, la tripletta con la quale stese la squadra di Zico, Falcao, Cerezo, Junior, Socrates, Eder, forse la nazionale più forte mai vista in un Mondiale, cambiò la sua vita. Divenne Pablito, segnando altri tre gol: due in semifinale alla Polonia di Boniek e uno, il primo, alla Germania Ovest di Rummenigge nella finale del trionfo al Bernabeu, vinta per 3-1.

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La Spagna fu la risalita dagli inferi e il suo zenit da calciatore. Rossi nella Juve (dove vinse scudetto, coppa delle coppe e perse una finale di coppa campioni), poi nel Milan (del “suo” presidente Farina) e infine nel Verona non raggiunse mai più quei livelli di prolificità sotto rete. Così come avvenne in Nazionale, che fallì la qualificazione alla fase finale dell’Europeo ’84 e che nell’86 al Mondiale in Messico non trovò più la magia di quattro anni prima e Bearzot gli preferì il giovane Galderisi. Nel 1987, a soli 31 anni, decise di dire basta. Il suo talento accecante è stato così intenso da lasciare, in così poco tempo, un segno indelebile nel calcio italiano e mondiale.

FOTO: Credits by Shutterstock.com

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