AS ROMA NEWS MOURINHO – Vincere. Che se non è un’ossessione, poco ci manca. Del resto, José Mourinho si è già tolto numerosi sfizi da questo punto di vista, con quei 25 titoli che ne fanno il quinto allenatore più titolato della storia del calcio. Vincere però a Roma – dove non si alza un trofeo da quasi 14 anni – e al primo colpo, sarebbe una gioia immensa, scrive La Gazzetta dello Sport.
Forse non la più grande della carriera, ma una delle più intense sì. Ecco perché Mou ci tiene da matti a questa Conference League, nonostante ad inizio stagione l’avesse indicata come secondaria rispetto al campionato. Oggi, i piani sono cambiati, ricalibrati. Nel senso che in campionato la Roma è quinta, sogna di superare la Juventus e volare in Champions, ma José sa che se c’è una speranza di dare un senso alla stagione quella è la Conference.
Del resto, la Roma è ancora a tutti gli effetti la favorita numero uno per la vittoria finale del trofeo, con i bookmaker di tutto il mondo che la danno in vetta nelle quote antepost (al pari del Leicester, segue il Marsiglia). E per Mourinho vorrebbe dire essere il primo allenatore della storia ad aver vinto tutte e 4 le coppe europee: la Champions (con Porto e Inter), l’Europa League (con il Manchester United, ma anche con il Porto quando si chiamava ancora Coppa Uefa) e la Coppa delle Coppe, che ha vinto come vice di Bryan Robson al Barcellona. Sarebbe a tutti gli effetti il Re di Coppe, cosa che appagherebbe il suo ego, ma anche la sua bulimia di trofei.
Ma vincere la Conference vorrebbe dire anche altro per Mourinho. E, cioè, alzare un trofeo al primo colpo, alla sua prima stagione in giallorosso, cosa che sa bene manderebbe in visibilio tutta la tifoseria romanista. Per intenderci, i grandi allenatori del passato romanista non sono riusciti a vincere nulla nel loro primo anno. Parliamo di gente del valore di Liedholm, Capello e Spalletti, tanto per citare quelli che hanno comunque lasciato una traccia a livello di trofei dalle parti di Trigoria.
Nella storia della Roma, invece, sono riusciti a festeggiare in tre al primo colpo, sempre con la Coppa Italia di mezzo: lo spagnolo Luis Mirò (subentrò in corsa a Kriezu, vittoria del trofeo 1963-64), l’argentino Helenio Herrera (1968-69) ed il contestato Ottavio Bianchi (1990-91). Insomma, Mou sarebbe il quarto tecnico giallorosso a vincere al primo anno, ma sarebbe soprattutto quello che farebbe tornare ad impazzire di gioia una città (quella di sponda giallorossa) che è da troppo tempo che non festeggia più niente.
E Mou ieri si è lasciato andare anche al suo lato spirituale, con un faccia a faccia pubblicato dall’Osservatorio Romano con il cardinale José Tolentino de Mondonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, per molti il futuro Papa. Un incontro in cui Mou ha chiarito anche la sua fame di vittorie, che con il passare degli anni – però – è cambiata.
«Percepisco la mia evoluzione come persona pensando al fatto che per molti anni ho voluto vincere per me stesso – dice Mou –, mentre adesso sono in un momento in cui continuo a voler vincere con la stessa intensità di prima o addirittura maggiore, ma non più per me, ma per i giocatori che non hanno mai vinto. Voglio aiutarli. Penso molto di più al tifoso che sorride perché la sua squadra ha vinto. Continuo a essere un “animale da competizione”, per così dire, continuo a voler vincere come o più di prima, ma prima mi concentravo su me stesso».
Ecco anche perché non ammette errori. O, almeno, non li sopporta: «L’errore si paga. Se commetto un errore, lo pago con l’esonero. Se un giocatore commette un errore, lo paga non giocando a beneficio di un altro. C’è qualcosa di crudele». E forse anche per questo un giorno vorrà allenare una nazionale, per provare a vincere qualcosa anche lì. Per ora si accontenta di essere il testimonial di Topps, partner Uefa per sticker e card. «Ho allenato le squadre più forti del mondo, ho vinto in Portogallo, Inghilterra, Italia e Spagna. Trasformo i buoni giocatori in grandi giocatori e le grandi squadre in squadre di campioni. C’è solo una cosa che devo ancora, fare guidare una nazionale». Arriverà, prima però c’è la Conference da vincere. E non solo…
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