Josè Mourinho

AS ROMA NEWS MOURINHO – Era iniziato tutto con la citazione di Marco Aurelio nel giorno della sua presentazione, nello splendido scenario della terrazza Caffarelli, quel «nulla viene dal nulla e nulla ritorna nel nulla» che lo aveva già intriso di romanismo nel suo primo giorno nella Capitale. È finita invece con un’altra citazione, stavolta molto più moderna, quel «qualcuno pensa che mi chiami José Harry Mourinho Potter», un riferimento al maghetto che aveva già utilizzato ai tempi del Real Madrid, scrive La Gazzetta dello Sport.

José Mourinho è stato romanista per 987 giorni, dal 4 maggio del 2021 (il giorno dell’annuncio della sua firma) a ieri mattina. Ma, probabilmente, lo rimarrà per sempre. Per quello che ha lasciato nel cuore dei tifosi giallorossi e per tutto ciò che ha fatto in questi due anni e mezzo di Roma.

Se in campionato le prestazioni non sono mai state all’altezza, in Europa la Roma ha toccato praticamente il cielo con un dito. E se non ci fosse stato di mezzo Taylor e quella maledetta finale di Budapest, Mou sarebbe diventato immortale nella Città Eterna. «Avremmo vinto per due anni di seguito un coppa europea, avremmo giocato la Supercoppa e poi la Champions. In condizioni normali il 2023 sarebbe stato un anno storico, ma il dio del calcio non ha voluto. Diciamo così, anche se poi è stata la giornata storta di un arbitro top».

Ma in Europa Mou aveva lasciato il segno anche in altre occasioni, non solo a Tirana, dove un anno prima aveva vinto la Conference («Si trattava di scrivere la storia oppure no. E noi l’abbiamo scritta», le sue parole subito dopo il trionfo con il Feyenoord), ma anche a Bodo, ad esempio, dove è arrivata la peggior umiliazione della sua carriera, quel 6-1 al gelo. Mou si fece sentire negli spogliatoi («Tra di voi c’è gente che non giocherebbe neanche in Serie B»), ma anche fuori: «Mourinho vuole calciatori? Sì, come tutti gli allenatori. Ma Mourinho non è uno stronzo e ha rispetto della società. Accetto la situazione e capisco».

Se poi c’è un altro tratto distintivo di questa sua avventura romana, è la difficoltà contro le altre sei big, con appena 6 vittorie (e ben 18 sconfitte) in 30 partite. «Ogni giorni ci ricordavano che la Roma non vinceva con una big da 19 mesi. Ora è da 22 minuti e mezzo», dopo il successo con l’Atalanta a Bergamo. Anche se poi le ultime sue parole dopo uno scontro diretto sono quelle successiva all’ultimo ko nel derby («La differenza tra me e Sarri è che per me non esistono amichevoli, forse è per questo che ho vinto 26 titoli e lui pochi», il primo attacco al tecnico avversario), quello della scorsa settimana, con il quarto ko su 6 partite.

«Perdiamo per un rigore del calcio moderno, un fallo che a centrocampo non sarebbe stato neanche fischiato». Quel derby la Roma lo giocava virtualmente fuori casa, un altro fattore negativo nel percorso di José. «Nella Roma c’è gente a cui piace il conforto di casa, che quando va fuori gli manca la mamma, il papà o il dolce della nonna». Un attacco diretto a quella che lui ha sempre chiamato famiglia. «Per lavorare bene devo amare i miei giocatori».

Ma nei suoi anni romani Mourinho ha avuto da ridire spesso anche con gli arbitri. L’ultima fiammata è stata quella con Mercenaro, prima di Sassuolo-Roma: «Non ha la stabilità emotiva per questa gara», le sue parole alla vigilia che scatenarono un putiferio (insieme all’attacco a Berardi: «Lo amo e lo odio, inganna il gioco del calcio»). Che lo ha poi portato a fare la conferenza in portoghese subito dopo la gara, in modo chiaramente provocatorio.

Prima, invece, l’attacco a Chiffi, nella scorsa stagione, dopo Monza-Roma: «Non ha empatia, abbiamo giocato con il peggior arbitro mai trovato nella mia carriera. E di arbitri scarsi ne ho visti…». Parole che gli costarono due giornate di squalifica, mai come le 4 che inflisse l’Uefa per l’attacco a Taylor nella pancia dello stadio di Budapest: «Vergognati, sei una fottuta disgrazia». E poi il gesto del telefono a Pairetto Ti ha mandato la Juventus, vero?»).

Ma quel che resterà per sempre di Mou è la sua empatia con i tifosi della Roma, un amore viscerale. «Ho allenato e vinto in tanti posti, ma l’amore che ho trovato a Roma non lo ho trovato da nessuna parte». Concetto ribadito anche al cardinal José Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, portoghese come lui. «Continuo a voler vincere come o più di prima. Ma prima mi concentravo solo su me stesso, adesso penso a far felici i tifosi». Che lo ricorderanno sempre come qualcosa di speciale.



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