Josè Mourinho

AS ROMA NEWS EUROPA LEAGUE MOURINHO – Dalla sua camera con vista dell’hotel Hilton di Budapest José Mourinho vede la bellezza della capitale ungherese, ma anche la Puskas Arena, in lontananza. Lo stadio che, stasera, potrebbe vederlo per l’ultima volta sulla panchina della Roma, scrive il Corriere dello Sport.

A poche centinaia di metri, sulla sinistra dell’albergo che ospita lui e i giocatori (non il resto della delegazione del club, non i Friedkin), Mourinho ha la gigantografia della coppa. L’Europa League, che stasera sogna di portare a Roma. E chissà se sarà un regalo d’addio. Se lo chiede una città intera e magari ci avrà pensato anche lui dalla sua camera con vista.

Di sicuro ci hanno pensato i suoi capitani, Lorenzo Pellegrini e Gianluca Mancini, che si sono fatti portavoce della domanda che agita i sogni, o gli incubi, di qualsiasi romanista: «Cosa farà Mourinho?». Pellegrini dice che spetterà a lui comunicare il futuro, José però ieri, nella gremitissima sala stampa della Puskas Arena (oltre 60 giornalisti) non si sbilancia.

Ma ammette che sì «una decisione l’ho presa e l’ho comunicata ai miei capitani. Ma non la diranno. La situazione, però, è molto differente a quella con l’Inter. In quel momento non avevo firmato col Real ma eravamo molto avanti – il chiarimento di Mou a precisa domanda – Ora ho zero contatti con altri club. La cosa importante siamo noi, noi, noi”.

Noi, appunto: lui e i suoi giocatori. Mourinho, si vede chiaramente, si emoziona quando parla della squadra e ribadisce più e più volte che non vede l’ora di giocare. Perché la Roma, questa finale, con «con infortuni, viaggi e tante partite» se l’è conquistata con le unghie e con i denti.

Non ride mai, Mou, in conferenza. Lo fa solo quando saluta tutti dopo appena 8 domande in cui nessuno gli aveva chiesto di Dybala. Mentre lascia la sala, e tutti i giornalisti insistono su Paulo, sorride dicendo che ha «venti o trenta minutini». Frase che poi ribadisce anche a Sky. Pretattica o verità? Le carte, Mou, le scoprirà oggi. 

Non vuole dare vantaggi a quel Siviglia che, per lui, «è favorito. La storia non gioca, il mio collega Mendilibar la pensa diversamente, pensa che il Siviglia sia favorito per la storia e rispetto la sua opinione. Ma siamo in questa finale perché abbiamo meritato. Loro hanno una storia e una esperienza che noi non abbiamo. Per loro giocare questa finale è normale e ricorrente, per noi è un evento straordinario. Per i loro tifosi viaggiare in una finale europea è quasi come stare in Spagna, per i nostri è qualcosa di storico. Ma quando la partita inizia vogliamo stare lì, e staremo lì».

E pazienza se la Roma ci arriva con qualche acciacco e stremata: «Il Siviglia è una grande squadra, anzi ha due grandi squadre perché ha 25 giocatori di altissimo livello e un bambino, Blanco, che ha giocato una gran partita contro il Real. Ma non conoscono la mia squadra, in quanto squadra, la conosco io e saremo lì. Loro hanno più esperienza, più finali, ma non è che i miei vengono qui senza nulla. Abbiamo due anni di lavoro insieme, abbiamo 30 partite europee accumulate in due anni».

E quindi per questo José si fida dei suoi ragazzi: li porta tutti, anche chi non può giocare: «L’allenatore non gioca, lavora tanto prima della partita, durante la partita poco. Ho detto ai miei analisti, prima, che il nostro lavoro è finito. Ora siamo qui per aiutare un pochino, ma la storia la devono fare i ragazzi».

I suoi ragazzi, il primo e ultimo pensiero di Mourinho. A loro, soprattutto a loro, se dovesse andar via sarà difficile dire addio. Chissà se ci ha pensato, stanotte, guardando Budapest dall’alto.



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