A domanda si risponde sempre. Così ha fatto Jim Pallotta, patron della Roma, da Boston. La domanda su Totti, inevitabile: notte inoltrata qui, serata ancora giovane negli States, è da poco terminata Milan-Roma, splendida vittoria dei giallorossi. Splendida. Succede che Jim trovi un punto in comune con Totti, uno, uno solo. «Aspettate la fine della stagione perché avrò molto da dire, vi racconterò tutta la storia». Così, anche il capitano della Roma si è lasciato scappare la stessa promessa/minaccia la sera del PalaTiziano, venerdì scorso. Ci metteremo seduti e ascolteremo: chissà se parleranno insieme, o da sedi separate. Oppure se rivedremo uno scontro dialettico mediato da un conduttore neutrale, come ai vecchi tempi, quando andavano in scena in tv gli scontri tra leader politici. Sembrerà strano, ma siamo arrivati a questo punto, dove due posizioni estreme fanno parte della stessa anima, la Roma. Da una parte Totti, dall’altra Pallotta, o qualche ora prima Spalletti. Eppure state insieme, giocate insieme. Vi amavate (forse). Qui siamo al c’eravamo tanto amati (sempre forse). Succede nelle migliori famiglie, però fa strano. Pallotta sceglie il suo allenatore, che poco prima aveva espresso il suo pentimento per aver accettato la Roma e che fino a poco tempo fa legava il suo futuro in giallorosso alle vittorie. Un patron, in teoria, non dovrebbe essere fiero di queste parole, eppure «non potrei biasimarlo se dovesse lasciare la Roma, perché i media scrivono sciocchezze ogni settimana». Presidente, ogni giorno. Anche ogni minuto, visto che siamo nell’èra del modernismo social, nel quale tutti si esprimono anche ogni secondo, figuriamoci ogni settimana. E c’è di tutto. E’ tutto un media, tutto un cinguettio, compesi quelli di Spalletti stesso che ha rinfacciato al patron di non avergli risolto il problema Totti e che la società sta a guardare. Ma non è che, caro patron, si confonde? Perché oggi diventa sciocchezza anche esprimere un sentimento su un calciatore che a qualcuno, per 25 anni, ha trasmesso emozioni in giallorosso. Oggi se uno parla di Totti è contro la Roma. Se ce lo avessero detto dieci anni fa, nessuno ci avrebbe creduto. Eppure siamo arrivati a questo punto. I media, è sempre colpa dei media. E’ sempre colpa del diavolo. Ogni tanto bisognerebbe, tutti, analizzare se stessi. Quindi, chi ha sbagliato in questa vicenda: la Roma (quindi i dirigenti, compreso il patron), Spalletti, Totti stesso. Non c’è mai un solo diavolo.
NON SPARATE SUL CAPITANO – Ma ormai è più facile abbattere Totti, individuato come il primo nemico della Roma. In tanti credono a questa storia: Totti è il nemico, chi sta con lui non vuole bene alla Roma. Santo cielo. Spalletti stesso nelle varie sale interviste del Meazza ha ammesso di aver commesso un errore, forse ha fatto troppo l’allenatore intransigente e poco il parente affettuoso. Pallotta in tutto questo entra nella questione tecnica e parla di «cambio giusto». Certo, ci ha convinto. Giusto. Bruno Peres è stato decisivo per portare a casa il risultato, sì da 1-3 a 1-3. «È stato molto bello vedere tutti i tifosi applaudire Totti e la sua mostruosa classe, ma la squadra viene sempre prima di tutto. L’allenatore ha fatto il cambio giusto, perché stiamo combattendo per l’accesso alla Champions. E comunque se lo avesse messo gli ultimi cinque o sei minuti qualcuno avrebbe detto che non sarebbe stato rispettoso», ancora le confidenze di Jim al cronista notturno (e di turno). Nessuno lo avrebbe detto perché quello era un contesto diverso da altri.
RESET – Proviamo, provate a resettare. A rispettare tutti la Roma, perché la Roma è Totti, è Spalletti, è Pallotta, è quella gente che ha bisogno di erori, etc etc. E sono quelle persone che si innamorano dei colori e tra loro sono innamorati. Che vinca o che perda. Era così, no? Basta con le guerre interne, basta con i buoni e i cattivi. Con quelli che parlano (sempre) contro e con quelli che parlano (sempre) a favore, che poi qualcuno spieghi dove sia la differenza se si tira in ballo la malafede. Malafede, eventualmente, è una ed è l’altra. Basta. A volte certe dichiarazione è meglio ometterle, rimandarle. Meglio che si dicano alle spalle (citando Troisi). E vale per tutti eh.
(Il Messaggero – A. Angeloni)
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