Di appuntamenti decisivi la lunga trattativa sullo Stadio della Roma ne ha già avuto tanti, salvo accorgersi ogni volta che di decisivo c’era ben poco. Eppure l’incontro che ci sarà oggi tra i rappresentanti del presidente della Roma James Pallotta, il costruttore Luca Panasi e i vertici del Comune di Roma a guida pentastellata potrebbe essere quello cruciale. Nel secondo degli incontri tecnici, tenutosi ieri in Campidoglio, si è entrati nel dettaglio dei vari punti critici e i promotori hanno messo a punto quella che dovrebbe essere l’ultima e non più negoziabile revisione del progetto, andando incontro alle varie obiezioni sollevate dagli uffici comunali. I proponenti dello stadio, che già avevano accettato un taglio del 20 delle volumetrie, sono andati oltre sforbiciando ulteriormente le cubature previste per la parte commerciale, in sostanza il business park che ha nelle torri disegnate dall’archistar Daniel Libeskind il punto di forza, e che rappresenta, come prevede la legge Delrio sugli stadi, la compensazione riconosciuta ai privati per la realizzazione degli impianti. Sempre ieri è stata definita anche una corrispondente riduzione delle opere pubbliche, anche queste a carico dei privati (sembra che non saranno però toccati il parco fluviale, la ristrutturazione della via del Mare e della via Ostiense, oltre che il potenziamento della ferrovia per Ostia).

Il progetto già approvato dall’assemblea capitolina ai tempi di Ignazio Marino prevede «la realizzazione dello stadio (consistenza di 49.000 mq)» con un capienza di 60.2018 posti, «del business park (consistenza di 336.000 mq.), di opere di urbanizzazione per 270 milioni di euro, tra cui sono comprese quelle definite come di connettività esterna. Ovvero: l’arena progettata da Dan Meis, tre torri da destinare ad uffici, ristoranti, negozi un parco di oltre 60 ettari. Un progetto che occuperebbe una superficie complessiva pari a 1.085.520 metri quadrati, parte dei quali al momento ospitano l’ippodromo in disuso di Tor di Valle. Per garantire la mobilità della zona i proponenti sono ponti a farsi carico dei costi del prolungamento di una fermata della Metro B, su cui però Atac ha sollevato perplessità tecniche, e soprattutto del restyling della ferrovia Roma-Lido e dell’ampliamento della via del Mare e della via Ostiense.

Come verrà ora ridefinito il progetto si saprà oggi, quello che è certo è che i promotori non vogliono restare appesi allo scontro interno fra l’assessore dimissionario «con riserva» (della Sindaca), Paolo Berdini, e la prima cittadina di Roma, Virginia Raggi, sempre più indispettita con il professore da lei chiamato in giunta. Ieri una nuova intervista di Berdini è sembrato potesse far precipitare la crisi, l’assessore, ha infatti ribadito che l’intervista di alcuni giorni fa in cui aveva pronunciato durissimi giudizi sulla sindaca e sulle persone da lei scelte come principali collaboratori (arrivando a ipotizzare un legame sentimentale tra la Raggi e l’ex capo di gabinetto Salvatore Romeo) sarebbe stata un’imboscata (ha parlato di «intervista truffa») per farlo fuori, in quanto unico vero ostacolo alla «colata di cemento che si vuole imporre ad una città già martoriata», di più «la più imponente speculazione immobiliare del momento in Europa, nonché la più grande variante urbanistica ad hoc mai approvata nella capitale». Una mossa, insomma, per legare le mani alla Raggi, favorevole a dire si ad un progetto meno impattante, come altri nel Movimento 5 Stelle, quali il vicepresidente della Camera, Luigi di Maio per cui «l’impianto di Tor di Valle è un nostro obiettivo politico». La sindaca ha risposto all’intervista nel modo più che seccato possibile: «Continuo a leggere interviste e dichiarazioni. Sinceramente non so dove trovi il tempo. C’è da lavorare e da lavorare tanto, noi lavoriamo anche fino a notte fonda. Lui sa bene che ci sono dei dossier da portare avanti e per senso di responsabilità nei confronti di Roma e dei cittadini dovrebbe farlo. Poi, vi dico, la pazienza delle persone ha un limite».

(Milano Finanza – A. Satta)



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