Luciano Spalletti, allenatore della Roma

La cronaca non porta (quasi) mai fuori strada. E, aspettando il derby, dovrebbe dunque aiutare a capire che cosa farà da grande Spalletti: se l’anno prossimo sarà ancora a Trigoria o se sceglierà un’altra piazza per lui migliore di questa. La Roma, da almeno un mese, ha però smesso di aspettarlo: per una questione di coerenza e di immagine. E ha avviato le consultazioni: per trovare il sostituto e quindi preparare il domani. Senza fretta, perché sa che la panchina giallorossa sarebbe l’obiettivo di tecnici anche di primo piano. E soprattutto senza uscire allo scoperto, per non distrarre i giocatori nel bel mezzo della corsa per il 2° posto che, portando direttamente in Champions, farebbe festeggiare Pallotta a Boston.

PERENNE CONTRADDIZIONE – La chiamano exit strategy. Lucio la conosce bene. E’ la via di fuga che va tanto di moda. «Resto solo se vinco». L’ultima volta, ribadendo poi il concetto in più occasioni, l’ha detto in questo 2017. E ha certo fatto più rumore di quando, dopo l’estate scorsa, usò una frase simile che, però, nessuno prese sul serio: «Rimango solo se rinnova Totti». È, invece, quel «resto solo se vinco» che vale la pena approfondire. Perché, forse qualcuno lo ha già dimenticato, non è una posizione inedita per Spalletti. La sventolò in pubblico prima di Natale, nell’intervista a France Football. Fu così inequivocabile che, qualche giorno dopo, fu costretto alla solita inversione a U: «Valuteremo tutto, con la società: i risultati, la posizione in classifica, la crescita o il peggioramento dei calciatori a disposizione» chiarì il 21 dicembre prima della partita all’Olimpico contro il Chievo, l’ultima del 2016. Non differente da quanto va ripetendo da domenica: «Il secondo posto è un risultato eccezionale». Non è un’altra retromarcia, ma una nuova exit strategy.

PARACADUTE APERTO – «A me nessuno vuole bene». Spalletti lo sussurra spesso a Trigoria. Eppure la tifoseria lo tiene ancora al centro del progetto. Più della società che, oltre a non aver gradito le esagerate esternazioni con i media, avrebbe preteso più chiarezza già prima della fase cruciale della stagione. Adesso Lucio aspetta la chiamata dell’Inter. Ma non è scontato che arrivi. Anche lui, non solo la Roma, ha dunque il piano B. Che prevede il ripensamento calcolato e non l’anno sabbatico. Perché allo stipendio da top coach, 3 milioni a stagione, rinuncerebbe malvolentieri. Gli piacerebbe allenare in Premier, ma Pochettino ha riconquistato il Tottenham, proposto a Lucio proprio da Baldini. A Milano ha dormito nell’albergo che è il quartier generale dei manager cinesi dell’Inter, ma quella notte fuori porta fu motivata con la partecipazione a un evento di beneficenza. Il pranzo di ieri a Firenze, nel locale preferito di Batistuta e a un tavolo di distanza del dg viola Corvino, non ha apparentemente niente a che vedere, invece, con il suo futuro: lì, dove ha casa e ristorante di proprietà in centro, si è fermato nel giorno libero per stare un po’ in famiglia. Lucio, però, sa come muoversi e dove farsi vedere. Mediaticamente perfetto (solo) negli spostamenti.

NUOVA ÉRA – «Dicono tutti che sia un grande professionista». Si tiene a distanza di sicurezza da Monchi, nonostante sia stato scelto dal suo sponsor Baldini. Freddino e, conoscendolo, sospettoso. E indispettito: ha saputo solo lunedì mattina dello sbarco del ds. Che lo deve tenere in considerazione, anche se Spalletti, a qualche big dello spogliatoio, avrebbe anticipato l’addio. Chissà se pure a Dzeko, irritato già prima dello strappo di Pescara e uscito allo scoperto il 1° aprile dopo Roma-Empoli: «Magari va via anche se vince». Cioè farebbe il furbo. Che non è un’offesa. Ma un’indicazione proprio per Monchi, attento stasera alla finale di Coppa di Francia tra il Monaco e il Psg. Emery è il suo preferito. Così come Sarri rimane quello di Baldini. Tecnici sotto contratto, meno liberi di Di Francesco, Paulo Sousa, Blanc e Mancini.

(Il Messaggero – U. Trani)



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