Luca Parnasi

«Raggi, Marino, Caltagirone, assessori vari, amici, nemici, banche, Pallotta che a un certo punto se ne voleva andare via, e poi strade, ponti, treni, le torri, quei vincoli lì, gli investitori internazionali, Lotito e lo stadio della Lazio. Chiedetemi tutto, sono a vostra disposizione. Ma sappiate che quello della Roma sarà lo stadio (con il nome di uno sponsor) più bello d’Europa. La prima partita è prevista per il 2020, calcio d’inizio dei due Francesco, il Papa e Totti. Sogno sogno un derby vinto 3-0. Dai, cominciate pure. Parlo adesso e poi non lo farò mai più. Ho scelto di raccontare tutto a voi perché siete quelli che hanno seguito con più passione questo progetto». Il costruttore romano Luca Parnasi, socio di James Pallotta per il progetto della nuova «casa» giallorossa a Tor di Valle, rivela per la prima volta retroscena e segreti a Il Tempo. Quasi due ore di intervista nella sede del giornale a Piazza Colonna, tra racconti inediti, precisazioni, risposte distribuite a chi ha provato in ogni modo a ostacolare il progetto in questi lunghi cinque anni di iter burocratico, culminati con l’approvazione finale nella Conferenza dei Servizi in Regione.

Allora Parnasi, come è riuscito a far cambiare idea alla Raggi?
«Ho sempre pensato che un progetto con una così importante e positiva ricaduta sulla città non poteva non trovare accoglimento dalle istituzioni. Chi governa una città ha il diritto, all’interno di un processo stabilito dalle norme, di emanare certe linee guida. Noi abbiamo scelto di confrontarci con questa amministrazione e il dialogo è stato positivo perché alla fine siamo giunti a una mediazione».

Anche conl’assessore Berdini la relazione era positiva?
«No, perché lui aveva un approccio ideologico contrario e lo ha anteposto agli interessi di una città che guarda al futuro».

In un tweet del 2014 la Raggi scriveva: «Lo stadio è la foglia di fico per dare un po’ di cemento al caro Parnasi»…
«È normale, quando sei all’opposizione puoi avere un atteggiamento diverso, ma poi ho avuto un’ottima interlocuzione anche con questa amministrazione: hanno lavorato tutti in team, Montuori, Frongia, l’avvocato Lanzalone. E anche la Regione ha svolto un gran lavoro, mettendo in fila 50-60 pareri diversi fra loro. Lo stesso governo ha influito tanto. Non voglio fare il democristiano, all’epoca, forse giustamente, il sindaco ha parlato così per quello che è successo in passato: esiste una figura del “palazzinaro” interessato solo al cemento,mentre io sono una persona che ama questa città e vuolefare uno sviluppo sostenibile».

E l’assessore di Marino, Giovanni Caudo?
«È stato altrettanto eccezionale, chi ne parla male avrà sempre il mio biasimo. Smettiamo di discutere su quale fosse il progetto migliore, piuttosto facciamo lo stadio, “damose da fa”».

Quanto ci vorrà?
«Stiamo già lavorando con gli americani per tutta la parte di cantiere. Molto tempo potrà essere risparmiato se riusciremo a coordinare la realizzazione delle opere. Se si parte bene, è ancora valida la scadenza di inaugurare l’impianto nella stagione 2020-2021. Le attività preliminari stanno partendo adesso e potrebbe esserci qualche sorpresa a gennaio».

Cioè?
«Cominciare a lavorare. Stiamo già finalizzando gli appalti. Inizieremo con la bonifica bellica e l’archeologia preventiva. Abbiamo già fatto una serie di verifiche e non riteniamo che ci siano situazioni di rischio. Se pure spuntassero, ad esempio sulla Via Ostiense dove è più probabile, abbiamo sempre avuto un ottimo dialogo con la soprintendenza archeologica e abbiamo valorizzato il passato: basta andare a vedere l’Europarco sulla via Laurentina. Quando ho trovato la scritta “Marcus Aurelius Commodum Fecerunt” ho detto “eccola lì, è finita”. Ma se un progetto è talmente importante, si può modificare e “girare intorno” ai reperti».

La prima partita?
«Immagino il calcio d’inizio dato dai due “Francesco”: il Papa e Totti. Il massimo sarebbe un Roma-Lazio 3-0, gol di De Rossi che vorrei capitano a vita, Florenzi e spero il giovane figlio di Dodo Chierico che per quella data magari avrà esordito».

Si diceva che da piccolo lei fosse della Lazio…
«Ma quando mai? Ho sempre tifato Roma pur essendo circondato da parenti laziali. E anche gran parte del team che ha lavorato al progetto tifa per i biancocelesti. Quando facemmo l’accordo per lo stadio, mio papà mi disse: “mi prometti che questa operazione la fai perché è un buon investimento e non perché sei tifoso?” Nella via dove abitavo, a Collina Fleming, c’era Roberto Pruzzo e ho le foto con lui sotto casa».

Ma lei lo stadio per Lotito lo farebbe?
«Prima avrei detto “perché no?”, in fondo sono un imprenditore. Ora, avendo lavorato a quello della Roma, rispondo di no. Non ho la più pallida idea su dove potrebbe costruirlo Lotito, è tanto che non lo sento ma ho stima di lui perché è un lottatore. È fondamentale che anche la Lazio faccia il proprio impianto perchéil calcio romano, per poter competere con quello “nordico”, deve dotarsi degli stadi di proprietà. Lo ha ripetuto più volte anche Malagò, un altro che ha avuto un ruolofondamentale. E son sicuro che la Lazio ci metterà meno di noi perché lo stadio della Roma “stappa” la città».

È vero che Pallotta stava per andarsene?
«Assolutamente sì. Jim lo considero un eroe: un imprenditore che da Boston arriva qui e investe per cambiareil modello sportivo di una squadra di calcio. Ora parlo da tifoso: è vero non abbiamo ancora vinto uno scudetto e arriverà presto, ma guardate quello che la società ha fatto negli ultimi anni. Il ranking è cresciuto, idem il modello di dirigenza, c’è la volontà di far diventare questo club internazionale e il nuovo stadio è un esempio di come un imprenditore si metta sulle spalle il progetto, anche se Pallotta è poco visibile in Italia. Chiaramente, a un certo punto ha detto: “Se la città non capisce o trovo ogni giorno un ostacolo… “. E di ostacoli ne abbiamo avuti mica da ridere, quindi è normale che possa non capire. C’è stato più di un momento in cui è stato vicino ad andarsene,ma è un uomo tenace. Era ovviamente frustrato, allafine forse sperava di ottenere il via libera un po’ prima, però è stato pragmatico».

Il ruolo di Baldissoni?
«Ha pesato tantissimo e ha fatto un lavoro eccezionale, unendo la capacità manageriale alle sue qualità da avvocato. A lui darei la maglia di capitano del progetto. Dirigenti come Baldissoni, Monchi e Gandini ce li invidiano all’estero».

Pallotta ha investito finora 63milioni di euro sulla progettazione. E lei?
«Altri 30 milioni di “equity” più i terreni. Jim ha fatto un lavoro incredibile sul fronte sponsorship, lo vedrete quando lo stadio sarà pronto, un cambiamento delle modalità di merchandising, tutto fatto dall’America, dove lo sport è a un livello di tecnologia avanzata rispetto a qui».

Come si chiamerà l’impianto?
«Sono sicuro si troverà uno sponsor che acquisterà i diritti per il nome».

La Roma prenderà una percentuale di ricavi su altri eventi scissi dalle partite?
«Certo, è già stato contrattualizzato. E sarà il valore del club a crescere di per sé. Lo stadio cambierà la Roma, diventerà una delle primissime società in Europa, basta vedere quanto sia cresciuta la Juventus. La città esprime una qualità intrinseca che è il motivo per cui Pallotta ha scelto di comprare la squadra».

È vero che a un certo punto Totti si era proposto di alzare la voce per sbloccare l’iter?
«Non mi risulta. Chi conosce Francesco sa che è timido, non lo avrebbemai fatto per carattere e ruolo. A lui ho costruito la villa, ora lo stadio: è il massimo per un romanista. Alla fine quello che ha contato è il dire “la città ha bisogno di questo progetto”. Non sarà per i tifosi ma per tutti i romani. Immaginate un turista che atterra a Fiumicino e come entra dentro la città vede il più importante stadio d’Italia. Manderà la foto fatta col telefonino, farà un tweet e poi vedrà la città eterna: ecco l’unione tra passato e futuro è il link che Roma deve avere».

Pallotta si avvicinerà di più alla società?
«Sono convinto che farà diventare la Roma ancora più grande. Ho avuto a volte discussioni con lui, ma è una persona di parola, se ti stringe la mano e ti dice che il progetto lo fa è così, perché è autentico. All’inizio di tutto io dissi a Jim: “Ok, faccio lo stadio ma tu mi devi far giocare almeno 5 minuti in una partita ufficiale. Ora ha la scusa che ho compiuto 40 anni, ormai sono fuori target, l’unico che potrebbe giocare a quest’età è Totti».

Il fatto che un imprenditore estero investa in Italia ha infastidito i costruttori romani?
«No. Qui abbiamo unmercato immobiliare potenzialmente più interessante di Milano, ed è inevitabile che se vogliamo far ripartire il real estate bisogna accogliere capitali internazionali. Gli imprenditori romani devono adottare un dialogo con queste realtà per cui il mercato della Capitale non venga più concepito come chiuso ad appannaggio di due o tre persone. Lo “stappare” è anche questo: si cambiano le regole del gioco. Come per ogni rivoluzione, serve tempo».

Le è dispiaciuto che non tutta la stampa abbia appoggiato nel progetto?
«Questa domanda me l’aspettavo. Io credo che IlMessaggero abbia avuto sin da subito una linea ostile. Non so dire se questo è frutto di una storia passata, di situazioni pregresse. Io non ho nulla contro il giornale, anche se non ho condiviso la loro scelta. Però, con sincerità: se mai in passato c’è stata polemica o discussione fra imprenditori, IlMessaggero di Caltagirone è quello che ha scritto l’articolo più significativo quando è morto mio padre. Per me, da quel momento, è finita qualunque tipo di riflessione negativa. Querele non ne homai fatte a nessuno, in generale credo che chi fa un’informazione negativa, perda in partenza. Ho accettato di farmi intervistare da voi, non perché Il Tempo ci abbia appoggiati, ma perché avete messo tanta passione nel seguire giornalisticamente il progetto».

Con lo stadio pronto ci sarebbero state le Olimpiadi?
«Inutile piangere sul latte versato. La vera forza di una città è rimboccarsi le maniche e dire: “Va bene adesso facciamo altri dieci progetti come lo stadio della Roma”».

Non c’è voluto troppo tempo per l’ok finale?
«Se si fanno i conti reali, rispetto a qualunque altro progetto di sviluppo immobiliare a Roma, i tempi dell’approvazione sono stati straordinari. Normalmente qui ci vogliono 10 anni per un’opera così complessa, noi abbiamo iniziato l’iter vero e proprio a marzo 2014, quindi sono passati circa 3 anni e mezzo. Ci metterei la firma se fosse sempre così. Certo, la legge sugli stadi prevede tempi più brevi e si può sempre fare meglio, ma almeno ora tutti avranno una corsia di accelerazione fortissima».

Il progetto rivisto conla Raggi quanto costa?
«Dati gli ultimi conti, è un investimento che peserà un miliardo di euro».

I terreni di Tor di Valle sono già stati conferiti alla società Tdv Spa?
«No, avverrà insieme a tutto il percorso che ci porterà al closing finanziario».

Chi sosterrà l’investimento?
«Io ho avuto due advisor importanti in questo progetto. Uno, che in pochi conoscono, ma è una realtà di cui si sentirà parlare in futuro: Banca Igea, una piccola banca d’affari romana creata da Francesco Maiolini, lo stesso che aprì Banca Nuova e ora ha messo insieme una serie di partner che mi accompagneranno nella fase del lavoro: da chi fa il “movimento terra” a chi si occupa delle opere civili, le vetrate e così via. Poi c’è Rotschild, che è stato sin dall’inizio il nostro advisor principale. Ha interagito in tutto il mondo con Goldman Sachs, l’advisor degli americani, con loro penso ci sia anche Starwood. In questa fase esiste un road show silenzioso per reperire i capitali sui mercati nazionali e internazionali affinché sia il progetto stadio che quello del business park possano viaggiare insieme alle opere di urbanizzazione, che verranno realizzate simultaneamente. Per quanto riguarda la nostra parte, posso dire che la domanda degli investitori è superiore a quella che sarà l’offerta complessiva».

Qualche nome si può già fare?
«Ancora no, ma si tratta dei più grandi a livello mondiale. Saranno fondi sovrani, fondi pensione italiani ed esteri, grandi player di private equities. Come Eurnova rimarrò dentro il progetto. E sto costruendo un nuovo soggetto che sarà il ponte fra il capitale internazionale e il territorio».

Tempi di rientro del debito?
«Il nostro per il business park è a 5 anni, dal momento in cui partiamo. Quindi contiamo di rientrare totalmente nel 2023».

Cosa risponde a chi diceva: «Parnasi non esiste ed è in mano a Unicredit»?
«Negli ultimi 3 anni ho sostenuto un percorso di ristrutturazione delle aziende di mio padre. Sottolineo: di mio padre. Io non ho mai posseduto neanche un’azione di Parsitalia. Ho però dovuto sostenerne il costofinanziario perché io ho fondato lamia prima piccola azienda a 23-24 anni e pochi sanno che sono sempre stato autonomo rispetto alle attività di famiglia. Poi, a 30 anni, mio padre – che è mancato circa un anno e mezzo fa – mi chiamò e mi disse: “Luca, ho bisogno che vieni a darmi una mano”. Lui è il più grande uomo che abbia mai conosciuto nella mia vita, avrei dato forse la vita stessa, però è stato molto difficile portare avanti il progetto stadio insieme alla ristrutturazione aziendale».

Ci sarà caos per arrivare allo stadio o no?
«Assolutamente zero. Avete idea di cosa significhi avere un impianto che sta in mezzo a due snodi di metropolitana? In macchina si potrà raggiungere col Grande Raccordo Anulare: ci sono due possibili uscite, la Roma Fiumicino, dal centro la via Ostiense o via della Magliana. E poi autobus, bici, ci saranno 11 km di pista ciclabile. Quindi sarà molto più facile che andare all’Olimpico. Di domenica, da Roma nord si potrà arrivare allo stadio in 20-25 minuti. E non si andrà più solo per vedere la partita, ma magari già tre ore prima a fare un giro al museo, a mangiare, poi c’è il Convivium, due parchi. Sarà una vera riqualificazione urbana che porta posti di lavoro e un indotto che in parte c’è già stato».

Però gli investimenti per il trasporto pubblico sembrano insufficienti…
«Non va sottovalutata la fermata Magliana della ferrovia Fiumicino-Orte, che sarà collegata all’area dello stadio da un ponte: molti useranno quella. Dopo di che interverrà l’Accordo di Programma fra Trenitalia e il Comune».

Il Ponte di Traiano?
«Non era necessario rispetto a tutto il quadro secondo me, ma alla fine credo si farà».

Il nuovo Business Park è progettato ancora da Libeskind?
«Non solo. Insieme a lui ci lavorerà anche Carlo Ratti, professore al MIT di Boston del Dipartimento di Domotica. È uno dei più grandi architetti del mondo e ha vinto da poco Area Expo. Non ci sono più le torri, quindi il modello passa da verticale a orizzontale e io ho l’idea del Campus, sulla scorta di quanto hanno fatto le grandi aziende americane, Apple, Facebook, Amazon. Hanno lanciato l’idea dello smart working – e Carlo Ratti è pionieri di tutto questo – e quindi Tor di Valle diventerà il quartier generale delle principali aziende. Le torri sarebbero state un simbolo di modernità, ma non ho rimpianti».

Le dispiace che l’ippodromo sparisca?
«No e quando sarà demolito, andrò lì col piccone».

E i vincoli? Pare che la Eichberg intenda ricorrere al Tar…
«E noi ci difenderemo. Questo progetto deve essere preso da esempio di come una parte di questa città si sia impegnata per farlo. Poi c’è sempre qualcuno che dice di no».

Novità particolari dell’impianto?
«A me, grande amante della musica rock, piace tantissimo l’analisi che è stata fatta dal punto di vista dell’audio: il tifo della Roma è già abbastanza forte, ma con la forma che avrà la Curva Sud il suono verrà amplificato e per quanto riguarda gli eventi e i concerti sarà un posto meraviglioso. Sogno i Metallica esibirsi a Tor di Valle. E io sarò in prima fila. Poi ci saranno gli Sky Box, che funzioneranno come le tessere stagionali. Ma dei prezzi, anche dei parcheggi, se ne occupa la Roma».

Sarà l’impianto più bello d’Italia?
«Secondo me, il migliore d’Europa».



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