Josè Mourinho

AS ROMA NEWS MOURINHO – “Non penso di essere il miglior allenatore del mondo, ma penso che nessuno al mondo sia migliore di me”. Capite bene: questa non è una frase di José Mourinho. È José Mourinho, scrive La Gazzetta dello Sport.

C’è tutto, in poche righe. C’è il motivo per cui un uomo che per natura è stato (è ancora) divisivo, domani sera unirà San Siro. José ha legato Milano e Roma come neppure l’Autostrada del Sole. È l’amore infinito che viaggia in treno: tre ore? Macché, 90 minuti. Alta velocità, alta classe, alto tutto. Carrozza di prima classe, perché in prima – o forse anche più su – ha portato i tifosi dell’Inter 12 anni e un pezzetto fa. E in prima classe si sentono oggi i romanisti, amanti innamorati fin dal giorno di un annuncio improvviso, da quel giro in Vespa a Trigoria, le prime parole, le polemiche arbitrali, le prese di posizione. E la Conference League certo, Tirana, come la dimentichi Tirana.

Perché la verità è che Mourinho divide (e logora) chi non ce l’ha. È un privilegio per pochi: interisti e romanisti si riconoscono in Mou e nel suo modo unico di allenare un popolo ancor prima che i suoi giocatori. San Siro domani lo stritolerà d’amore, avversario solo nella distinta dell’arbitro. Non sarà la prima volta, ma sarà bello come la prima volta. Romantico a prescindere dal risultato che verrà fuori dalla partita, e sì che al primo ottobre questa è una sfida che pesa già tanto per le due società.

Mou non ha vinto il Triplete, da queste parti: è il Triplete. È la leggenda che gli interisti raccontano ai figli e ai nipoti. È il metro di paragone per qualsiasi allenatore che dal 2010 si è seduto e siederà ancora sulla panchina dell’Inter: poveri loro, poveri tutti. Romanticamente, domani sarà in una saletta vicino alla gente e non in panchina, perché con quel rosso di due settimane fa lui e il destino si sono scambiati un assist. È la partita del suo cuore e pure della sua pelle: le coppe vinte con Inter e Roma (oltre che con il Porto) se le è tatuate un giorno d’estate.

Mourinho a Roma ha saziato la fame di una città che cercava una guida, dal giorno dell’addio di Francesco Totti. Il tempo l’ha cambiato, ma neppure troppo. Non c’è una parola che non sia ragionata. A Milano preparava le conferenze – alcune conferenze – con settimane di anticipo. Ricordate quella degli “zero tituli”? Era chiusa in un cassetto, bastava solo aprirlo nel momento giusto. Pensa un po’, quel giorno il suo obiettivo era la Roma, quella Roma che ora allena e costruisce, costruisce e allena. Diceva Nick Hornby che “non è facile diventare un tifoso di calcio, ci vogliono anni. Ma se ti applichi ore e ore, entri a far parte di una nuova famiglia”. Per abbracciare la famiglia di José, invece, basta appena un secondo. E non va più via, l’amore.



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