AS ROMA NEWS PELLEGRINI – Lorenzo Pellegrini, capitano della Roma, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero parlando dei giallorossi e del rapporto con Mourinho e De Rossi. Queste le sue dichiarazioni:
Pellegrini, vogliamo subito toglierci il dente?
«E togliamocelo (sorride)».
Ha sentito Mourinho ultimamente?
«No, non c’è stata occasione. Tra me e lui comunque non ci sono problemi, ci siamo chiariti. Quello che dovevamo dirci ce lo siamo detto».
Ecco, siccome tra anelli e lettere negli armadietti se ne sono dette di tutti i colori, ci regala la sua versione visto che della vicenda non ne ha mai parlato?
«Non l’ho fatto perché le cose all’interno dello spogliatoio devono rimanere tali. Poi visto che sono purtroppo uscite, voglio soltanto dire che con José ho sempre avuto un rapporto meraviglioso. A lui erano state dette delle cose sul mio conto che non erano assolutamente vere. E per come l’ho letta io, in un momento di profonda amarezza dettata dall’esonero, ha creduto a queste voci».
E a quel punto cosa è accaduto?
«È inutile negarlo, quando ho visto la sua reazione (restituzione dell’anello donato per i 60 anni e lettera, ndr), ci sono rimasto male. Dopo tutte le emozioni che avevamo vissuto insieme, avrei preferito che fosse venuto a parlarmi di persona. Allora, ho fatto l’unica cosa che potevo fare in quel momento visto che aveva lasciato Trigoria: prendere il cellulare e chiamarlo. Abbiamo chiacchierato a lungo e ho capito quello che stava vivendo. Non mi va di entrare nello specifico di quello che ci siamo detti ma ci siamo chiariti, questa è la cosa che conta. E per me Mourinho rimarrà un tecnico che ringrazierò sempre».
Vedendola allenarsi in ritiro, sembra più tranquillo rispetto al recente passato.
«È vero, l’ultimo anno non è stato semplice. L’unica cosa di cui non posso rammaricarmi è il fatto di non aver dato tutto. Mi dispiace che questo mio modo di essere, che non cambierà mai per niente e per nessuno, venga scambiato per poca personalità. Non penso che la personalità si dimostri platealmente o fingendo di esser quello che non sei. Io sono me stesso e vi assicuro che quando mi metto in testa una cosa la raggiungo. Fidatevi di me, sono uno che le cose le porta sempre a termine».
La sua situazione ricorda quella di un altro capitano, Giannini, un mostro sacro che pagò essere arrivato dopo Falcao. Lei, invece dopo Totti e De Rossi.
«Non lo so, sinceramente ci sono però delle cose che mi piacciono poco».
Ad esempio?
«Beh, se un mio compagno ha qualche dolore e recupera è un eroe, se lo faccio io invece vengo deriso. A me dispiace perché non penso mai di aver mancato di rispetto a nessuno. Forse sarò meno amato perché sono più riservato di altri, meno voglioso di apparire ma non posso farci nulla, sono fatto così».
La fascia condiziona quindi i giudizi?
«No, probabilmente no. Non è questione di essere o meno il capitano, di numero di maglia, ma di quello che sei. Dovrei forse aprirmi di più ma non posso snaturarmi».
Lo sa che è una delle critiche le vengono mosse sui social è che non ride mai?
«(Sorride) Chi mi conosce sa che è una stupidaggine. In campo è più difficile, certamente non mi aiuta il fatto di essere un ragazzo riservato. Sono una persona semplice, che viene da una famiglia altrettanto semplice. Però, glielo assicuro, sono soltanto me stesso. A me non serve baciare la maglietta per dimostrare che amo la Roma perché quel gesto può farlo anche uno che è arrivato da cinque minuti. L’amore per questa squadra l’ho dimostrato tante volte. Come quando ho voluto a tutti i costi giocare un derby che poi mi è costato, per non essermi fermato per un problema al flessore, gli Europei vinti a Wembley. Ma avevo dato la mia parola al tecnico d’allora (Fonseca, ndr) e non potevo tirarmi indietro».
A proposito di infortuni, perché nell’ultimo anno e mezzo ha faticato a trovare continuità?
«A livello di condizione, la passata stagione è stata la più complicata della mia carriera. Mi sono fermato subito dopo la seconda partita, quando stavo in nazionale. Un infortunio banale, roba di 2-3 settimane. Appena rientro, segno con il Frosinone e con il Servette e mi devo rifermare subito. Così è stato come prepararsi, fermarsi e riprepararsi nuovamente. Il problema però è che quello che hai fatto prima lo perdi e devi ricominciare da capo. Ci vuole tempo a quel punto. Da agosto a dicembre sono stato sempre male, mi sono ripreso per un paio di mesi e a giugno inevitabilmente mi sono spento di nuovo»
Dei nuovi chi l’ha colpita maggiormente?
«Sono tutti bravi ragazzi. Se proprio devo fare un nome, dico Soulé. Ha delle qualità per diventare un calciatore fortissimo».
E Dovbyk?
«Tecnicamente più di Lukaku mi ricorda Vieri. Il lavoro che faceva Romelu lo può anche fare ma lui vive proprio per il gol. È uno che vuole stare negli ultimi 16 metri o almeno avvicinarsi ad una zona dove sa che può segnare. Ama giocare in profondità. E poi è una bestia. Oggi abbiamo fatto la panca inclinata, ha fatto i pettorali con 35 chili…».
Nelle prime uscite la Roma è stata schierata con il 4-2-3-1. Con l’arrivo di Soulé e Le Fée più la presenza di Dybala, lei dove giocherà?
«Il mio è un ruolo a metà, tra il trequartista e il centrocampista. Mi esprimo al meglio da mezzala però con De Rossi ho tanta libertà di andarmi a trovare la posizione in campo. Soprattutto per come si sta sviluppando il calcio negli ultimi anni non si occupano più posizioni fisse. Per questo i moduli sono elastici. Bisogna muoversi tanto, cercare gli spazi per poterli attaccare».
Per venire incontro a chi mastica poco di tattica: trequartista, alto a sinistra?
«Sì qualcosa di simile l’ho fatto anche in Nazionale e ha creato qualche vocina… È normale che io non posso fare l’esterno, sono un centrocampista. Ma anche con Spalletti l’idea è che avrei ricoperto quella posizione nella fase difensiva e poi quando avevamo la palla dovevo entrare dentro al campo e lasciare spazio al terzino che saliva. E quindi mi trasformavo in quello che sono, un centrocampista offensivo».
Le vocine allora erano vere?
«Ma no, c’è dispiaciuto soltanto non esprimerci come avremmo potuto. Per me Spalletti è un allenatore eccezionale, ti migliora».
Da Spalletti a De Rossi, tre aggettivi per definirlo?
«Ci devo pensare bene, altrimenti poi si arrabbia e chi lo sente. Allora… Il primo è veritiero. Le racconto un aneddoto. Io e Daniele ci conosciamo da quando lui giocava. Il primo giorno che arriva mi chiama e mi chiede alcune cose. Alla fine, alla presenza di altri compagni, mi fa: “Ricordatevi che vi voglio bene, ma voglio più bene a me e a mio figlio. Quindi sappiate che se non vi allenate e giocate come si deve, andate fuori”. Parole che ho apprezzato tantissimo».
Bene e gli altri due?
«Preparato. L’ho già detto altre volte ma come studia le partite, mi colpisce continuamente».
Ok, sembra però la letterina di Natale. De Rossi lo avrà pure qualche difetto o no?
«Lei mi vuole mettere nei guai (ride). Boh… permaloso? Sì permaloso da morire. No, ora che ci penso forse più lunatico di permaloso. Il problema è che non si tratta di una transizione normale, del tipo un giorno sei felice e l’altro metti il broncio. Lui si sveglia la mattina ed è felice. Dopo mezz’ora è arrabbiato, poi torna a sorridere e dopo un’altra ora gli ‘rode’ di nuovo. Vabbè, devo cercarmi un’altra squadra…».
Ha mai pensato che potrebbe essere il capitano che inaugurerà il nuovo stadio?
«Non mi sembra vero, ho visto il progetto è qualcosa che lascia senza fiato. So quanto ci tengono i Friedkin, sarebbe una cosa eccezionale».
Il suo rapporto con Dan e Ryan?
«A me non piace fare il furbetto, non lo sono mai stato. Ricordo però una delle prime volte che li incontrai. Mi sembrava di interloquire con gente di Testaccio: c’era solo la Roma nei loro pensieri».
Ultimamente sembrava che qualcosa fosse cambiato con la possibile acquisizione dell’Everton.
«Non lo so, quando ho parlato con loro ho sempre avuto la sensazione che la Roma non è soltanto una questione di business. Da come parlano ci tengono come fosse una cosa di famiglia, una figlia».
L’obiettivo stagionale?
«La Champions, è ora di tornarci. È il nostro obiettivo. La società ha investito tanto».
Il sogno invece di Pellegrini?
«Modellare la mentalità che c’è a Roma. Non accontentarsi quando le cose vanno bene e non deprimersi quando vanno male. Un sogno poi l’ho realizzato, è stato vincere un trofeo. Ora ne voglio un altro».
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