A un certo punto sembrava che potesse addirittura finire in tragedia, altro che festa. Ma il gol liberatorio di Perotti ha rispedito alle stelle l’umore generale poi ripiombato di nuovo nel baratro del nulla al solo pensiero di dover fare a meno, a partire da oggi, del Capitano, l’unico Capitano che questo popolo riconosce. Ma per Spalletti è finita male lo stesso e il nervosismo finale (quasi alle mani con un collega di Sky, rea di averlo inquadrato e fatto quindi oggetto di fischi… come se fosse colpa nostra) ne è lo specchio più sincero. Il popolo romanista che fischia un allenatore in grado di fare 87 punti, chiudere dietro solo al catepillar bianconero (che come dice De Rossi solo tra qualche anno capiremo quanto era forte… ), lanciare il «suo» bomber in vetta alla classifica cannonieri italiana ed europea, una roba da non crederci. Possibile che i tifosi romanisti siano impazziti? No, sicuramente qualche volta esagerano, spesso vanno troppo in là, ma in quanto tali vanno rispettati e compresi. Spalletti questo non lo ha mai saputo fare, e il dualismo con Totti lo ha schiacciato: inevitabilmente. L’Olimpico fischia, non permette che ci si possa mettere contro il «suo» Capitano, ma soprattutto che lo si faccia in quel modo (andando addirittura a ritirar fuori rigore sbagliati qualche anno addietro). Spalletti è stato bravo a fare alcune cose a Roma, tra queste sicuramente a far giocare bene la squadra, ma ne ha sbagliate molte altre. Sicuramente il rapporto con i tifosi: quelli non li freghi. Il risultato è un addio amaro, forse ancor più di quello già avvenuto qualche anno addietro. E ha poco senso adesso passare in rassegnale doti di Totti: troppo tardi. «Una cosa incredibile – racconta Spalletti a caldo a fine gara- stavano piangendo tutti, era impossibile non venire trasportato da e in questa emozione generale – ma a nessuno è sfuggito il modo freddo con cui il Capitano lo ha salutato – se Francesco decidesse di smettere, come penso abbia deciso di fare, sarebbe una perdita da colmare: ottavo re di Roma è poco, è più un imperatore. Lui è un buon ragazzo, trasparente. Non c’è niente di plastificato quando hai a che fare con Francesco. Diventa poi il leader, il capo, il capo branco, il capitano, diventa tutto. Di conseguenza si rischia che possa essere un limite per se stesso ma così non è stato perché ha sempre reagito bene e ha dimostrato di saper ricoprire questa figura».
Il tema caldo è il suo futuro, ormai il segreto di pulcinella: lo aspetta Sabatini all’Inter. «Faremo con la società un meeting di chiusura e dopo che ci saremo parlati chiarirò la mia posizione» dribbla abilmente sul tema che ormai nella Capitale è argomento «antico». Nessun rimpianto. «Sono sempre stato abbastanza coerente: ritengo di avere allenato una squadra forte, che a volte ha avuto momenti di difficoltà, ma abbiamo sempre spinto sull’acceleratore. Abbiamo lavorato in maniera seria, dimostrando sempre il nostro valore». Ma Spalletti è il passato, perché il futuro prossimo della Roma è Eusebio Di Francesco, allenatore in ascesa che ha voglia e carattere e sembra pronto a confrontarsi con la Capitale. Conosce Roma, ci ha giocato ed è nei cuori dei romanisti che gli hanno sempre riconosciuto una grande abnegazione e una correttezza di fondo. Con Totti ha condiviso uno scudetto, potrebbe essere lui il «motivo» che convincerà il capitano a restare e magari mettersi in mezzo a lui e Monchi come figurare tramire. Col tecnico abruzzese si sta trattando sui dettagli, in teoria c’è una clausola da 3 milioni da pagare al Sassuolo, ma è tutto fatto. Poi, però, bisognerà vedere come Di Francesco riuscirà a mettere le mani nella Roma, perché nonostante il brutto addio Spalletti lascia una squadra seconda, che gioca un buon calcio e alla quale mancava tanto così per spiccare il volo. Niente da fare, si riparte da zero: quattordici allenatori in quattordici stagioni. Un altro record della Roma.
(Il Tempo – T. Carmellini)
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