«Diego ridi, una volta fattela una risata». Ripensandoci ora, chissà se questa frase ripetuta costantemente da Gasperini nell’anno e mezzo trascorso a Genova, gli strapperà un sorriso. Domenica a Bergamo, Perotti ritrova da avversario il tecnico che lo ha restituito al calcio. Perché ora sembra la normalità vedere l’argentino dribblare l’uomo con facilità, regalare assist e segnare. Appena un paio di anni fa, Perotti era considerato un calciatore finito. A tal punto che il Siviglia, che su di lui aveva scommesso inserendo addirittura una clausola rescissoria di 48 milioni, aveva deciso di privarsene praticamente a zero. Nell’estate del 2014, il Genoa per l’acquisto del ‘Diez’ paga appena 350mila euro (più l’incasso di un’amichevole disputata l’anno dopo): sostanzialmente il costo della commissione per il trasferimento.
QUESTIONE DI TESTA È un momento-no per Diego, alle prese con continui problemi muscolari che lo hanno distrutto psicologicamente tanto da ricorrere all’aiuto di una psicologa. Nemmeno una visita negli Usa per effettuare un esame specifico di biopsia muscolare ha dato gli esiti sperati. L’argentino naviga a vista, reduce da un’esperienza al Boca Juniors funestata dai soliti ko che gli permettono di disputare in 6 mesi appena due partite. Un giorno, mentre è alle prese con la fisioterapia, vede comparire sul cellulare un numero che non conosce. Dai giornali è venuto a conoscenza dell’interessamento del Genoa ma non è convinto del trasferimento. Risponde e trova Gasperini che dopo una lunga telefonata lo convince ad accettare l’offerta rossoblù. In Liguria ritrova la voglia di giocare al calcio e con una attenta preparazione, supportata da un’alimentazione rigida e controllatissima, torna a scendere in campo con continuità. Impiega poco a diventare il leader tecnico della squadra con l’allenatore piemontese che appena può ne tesse le lodi: «Diego potrebbe giocare in qualsiasi big europea». Il feeling con Gasperini è immediato: il calcio offensivo con le tre punte è il modo migliore per esaltare l’estro dell’introverso argentino. Che nonostante fatichi ad ammetterlo, ha nella timidezza il suo tallone d’Achille: «Da ragazzino guardavo film polizieschi e leggevo libri, come Sherlock Holmes. A Siviglia andavo all’università, frequentavo criminologia, mi piaceva, ma era sempre meno il tempo per studiare. In più, la facoltà era in pieno centro e a lezione tutti mi guardavano… non ero a mio agio». Figuriamoci il 10 novembre del 2009 quando, poco prima della lezione, riceve la telefonata del delegato della nazionale argentina che gli anticipa la convocazione in nazionale da parte di Maradona. Da quel giorno in facoltà non lo vedono più.
L’UOMO IN PIU’ Oggi Perotti è uno dei segreti di Spalletti. Per Lucio è l’uomo che crea lo spazio dove non c’è. Gli basta una finta, un dribbling e l’avversario di turno è un piacevole ricordo. E pensare che quando poi si rivede in tv, «non mi sembra di essere così veloce». Peruzzi lo definirebbe un «falso lento». Di Maradona ha il nome e il modo di calciare i rigori. Ha cominciato a tirarli così a Siviglia, su consiglio di un portiere, Javi Varas, che gli spiegò che per i portieri i penalty calciati con una rincorsa minima sono quelli più difficili da parare. Con la Roma ha iniziato la stagione con un tre su tre. In campo magari sorride poco ma è superstizioso. Entra sempre con il piede destro e si fa il segno della croce: «Non ero particolarmente credente. Poi, in quella situazione di infortuni a catena, la fede mi ha aiutato». In pochi lo sanno ma è un cinefilo doc. Le pellicole preferite sono due, entrambe argentine: «’El segreto de sus ojos’, e Nueve Reinas’», nove regine. La Roma, il suo re calcistico già ce l’ha. A Perotti basterebbe affiancarlo. E magari, ripensando al passato, riderci su insieme.
(Il Messaggero – S. Carina)
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