Il Torino aveva vinto una sola partita in campionato, un mese fa contro il Bologna: tecnicamente il risultato più abbondante (5-1) dovrebbe far restare quel successo come il migliore della stagione, ma l’avversario pesa, induce a una fatica diversa, alza la quota delle difficoltà. È indubbio che questo 3-1 alla Roma diventi così la gara più bella della nuova annata granata: lo racconta Sinisa Mihajlovic senza che nessuno possa indicarlo come sbruffone. Anzi, l’allenatore è lo stratega acclamato dai quasi 20mila che hanno saltato il pranzo per vedere come si sarebbe comportato il Torino dopo due 0-0 consecutivi. «I giocatori si sono dimostrati undici tori, come li voglio io», dice l’allenatore. Non c’è stata l’ovazione perché la sentenza è venuta in una sala ristretta e chiusa al pubblico. Però il pennello intinto nel passato ha dato il colore cercato all’entusiasmo della piazza.

I MOTIVI – Andrea Belotti, il migliore ma con altri molto vicini, partendo da Iago Falque, potrebbe togliere evidenza al comportamento di squadra. La punta che segna l’1-0, prende il rigore del raddoppio e il «quasi assist» del tris, provoca squarci non rattoppabili nella difesa altrui. Però viene sempre cercato e sostenuto da compagni precisi e svelti ad avvicinarsi; il Torino gioca un calcio verticale, dove il tridente resta compatto per qualsiasi respinta o scambio. Alle reti, o alle occasioni, partecipano anche Falque (doppietta su penalty e «quasi autogol» più un palo) e Boyé, i due esterni a cui Mihajlovic chiede sostegno al centravanti e umiltà di copertura, quando senza palla il Toro diventa un 4-5-1. Per calcio verticale, rapido e preciso, si intende che alcuni numeri siano minimi: possesso palla 31,1; vantaggio territoriale 38 per cento; cross 10 contro 35, corner 7-13. Eppure le occasioni da gol sono pressoché in equilibrio, una decina per parte. Szczesny è il più bravo della Roma, ma Hart è fondamentale in alcune respinte a risultato ancora in bilico.

ROMA STRACCIATA – È la peggior uscita della Roma in campionato – solo con il Porto nel ritorno del playoff di Champions la figura era stata più magra – ed è la seconda battuta d’arresto di fila in trasferta, dove peraltro i giallorossi non hanno mai vinto finora, coppe comprese. Eppure nell’avvio frizzante ci sono, in un quarto d’ora, il gol e il palo granata, ma anche le ciccate di Dzeko. Il quale spesso riesce a sovrastare i difensori, però dopo consegna mozzarelle e non condanne. Quando la conclusione è ok, fra tanti mezzi tiri ed errori di mira, Hart gli toglie l’esultanza. Quindi sarebbe potuta andare in maniera diversa – come prova a sussurrare Spalletti che poi processa i suoi – senza gli sbagli iniziali, ma non c’è controprova e i suoi non lo meritano. La Roma è troppo spezzata, lunga e carente di genio per riprendersi. Ha una evidente inferiorità soprattutto sul fianco sinistro, difeso malissimo da Peres e Fazio, e non vi pone rimedio. Quando avvicina il Toro, con il rigore del 2-1, continua sulla strada degli errori. Spalletti non cambia mai il 4-2-3-1 talmente largo da concedere troppi uno contro uno sulle fasce. Però ha fantasia, diciamo così, nel girare gli uomini, toglie Nainggolan da falso trequartista e a un certo punto Totti si trova mediano, un centrale tipo quarter back, con licenza di lanciare. Dura dieci minuti poi torna un 10. Entrato dopo l’intervallo per De Rossi, fra i peggiori con Peres, Florenzi, Nainggolan, il capitano anticipa la festa del 40° compleanno (domani) con il gol numero 250 in Serie A. Non gli viene il piedino, sul dischetto: si sapeva.

TORO COMPLESSO – Non è soltanto la vivacità dell’attacco a tenere avanti la banda di Mihajlovic, sempre diversa ultimamente causa infortuni e squalifiche. Mancano Acquah, Vives e Molinaro, Ljajic è solo in panchina, Obi e De Silvestri si fanno male dopo. Ma il centrocampo rimodellato sul senso della posizione di Valdifiori e sulla corsa di Benassi e Baselli, mantiene la superiorità sulle varie coppie romaniste e permette poca circolazione al trequartista dietro le spalle. La Roma prova spesso con il lancio a destra su Salah e Florenzi, il Toro sfoggia un ragazzo del vivaio, il ventunenne Barreca, che secondo Miha diventerà «uno dei migliori terzini italiani» sempre che «tenga i piedi per terra». E che giochi come ieri. Il Torino non vinceva in casa contro la Roma dall’ottobre del 1990, nella stagione post Mondiale italiano: 26 anni di attesa, ne è valsa la pena.

(Gazzetta dello Sport – P. Archetti)



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