AS ROMA NEWS BODO/GLIMT – Non c’è stata rivincita. La Roma ci ricade e in Norvegia arriva un’altra sconfitta, non pesante come sei mesi fa, ma dura da digerire. Il Bodø resta indigesto, quel sintetico resta impraticabile e il finale è da Far West, con l’allenatore del Bodø che aggredisce il preparatore dei portieri della Roma. Il ritorno, viste le premesse, sarà una battaglia, Il Messaggero.
Sugli spalti, in tanti sventolano bandiere, striscioni, qualche cartellone con la scritta 6-1: è il comitato di accoglienza per la Roma, così, per non dimenticare il recente passato. Il Bodø non dimenticherà mai quel 21 ottobre, quella lezione surreale data alla Roma di Mourinho. Stavolta non è una lezione, la Roma si smarrisce nel finale e ora è chiamata a una rimonta. La squadra che Mou sta cercando di ricostruire, ce la potrà fare, esibendo la vena del derby e un po’ più di concentrazione in più.
Quella sconfitta sonante ha condizionato il cammino della Roma, anche in campionato, ma ora è passato remoto. Stavolta, s’era detto, sarebbe stato tutto diverso, perché il tecnico portoghese ha spinto e caricato i titolari (quelli del derby e Sampdoria, con Kumbulla per l’acciaccato Smalling) affinché potessero presentarsi sul campo norvegese (sintetico e su questo terreno ci rimette un ginocchio Mancini) con i sentimenti giusti e quella voglia di rivalsa, raccontata dallo Special il giorno prima. E’ stato diverso, la Roma è stata in partita, ma sempre una sconfitta è arrivata. E fa male. Ma nulla, come detto, è perduto.
Arriva Saltnes, al minuto 13, che colpisce l’esterno della rete (con tiro deviato da Mancini) e torna qualche incubo. Che succede, possibile, ci risiamo? No, stavolta il Bodø non si esalta fino a quel punto, pur rimanendo una buonissima squadra, che farà la sua figura e potrà credere alla semifinale, forte di una vittoria forse anche insperata.
L’occasione più grossa del primo tempo è quella di Abraham, qualche minuto dopo il tiro dello spavento norvegese, ma l’inglese si fa ipnotizzare da Haikin e poi ci pensa Pellegrini a far capire che stavolta non si scherza: magistralmente servito da Mkhitaryan (che aveva servito anche Abraham nell’occasione precedente), il capitano manda la Roma nello spogliatoio con il vantaggio in tasca e un po’ di serenità nel cuore. Forse troppa. E lui ci va con la dodicesima rete stagionale. Poteva segnare prima, se l’arbitro (e gli assistenti) non lo avessero fermato per un fuorigioco inesistente. A proposito: senza Var, ormai, non si può più giocare, specie per queste situazioni facilmente ricontrollabili.
Ma a volte ritornano. Gli incubi, nitidi, anche se non come quelli di ottobre. Non siamo sul tanto a poco, ovvio. Non c’è umiliazione, resta la rabbia. Ma finisce che la Roma torna a casa con una caduta inaspettata e deve rimontare tra una settimana per andare in semifinale: l’Olimpico sarà colmo di speranza. Il gol del pari del Bodø ha dell’incredibile, segno che su quel campo resta la maledizione: tiro di Wembangomo, innocuo, deviazione di Saltnes, impercettibile, e intervento maldestro di Rui Patricio, che poi vive attimi di confusione. E con lui la Roma: si rischia di perdere e dopo la paura, c’è anche l’occasione per vincere (Pellegrini, tiro dalla distanza ben parato da Haikin).
La partita si fa molto equilibrata, i norvegesi riprendono coraggio, davanti a una Roma che ha un po’ mollato e appare deconcentrata. A centrocampo perde qualche palla velenosa, là dietro si balla un po’ e i terzini, che nel primo tempo erano due frecce, cominciano ad abbassarsi troppo e a soffrire. Mourinho toglie Micki, uno dei migliori, e Zalewski, che non ne ha più: dentro Shomurodov e Viña, che sarà decisivo al contrario, con un fallo inutile e la deviazione decisiva sul gol vittoria di Vetlesen, con dormita generale della difesa.
Mancini esce (c’è Smalling), ma qui non ci sono questioni tattiche: problema al ginocchio, il difensore si impunta sul terreno di plastica. Mou prega che non sia qualcosa di serio, ma ci crede poco. Da come è uscito dal campo la cosa non promette bene. Alla Roma non resta che il compito di provare l’ennesima rivincita, che sia la volta buona però. Stavolta non ci sono più prove d’appello: o dentro o fuori.
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