Rassegna stampa
Profondo giallorosso. La Roma naufraga nella notte di Dybala: De Rossi è già in crisi
AS ROMA NEWS EMPOLI – Ci saranno anche 21 modi per dirti ti amo, ma non sempre si trova quello giusto. Non questa volta. L’Olimpico si era preparato alla favola con la solita dose di incoscienza, ingenuità, amore incondizionato: tutto esaurito, cori, bambini vestiti con la 21 di Dybala, l’applauso per il campione che non si è congedato dal posto dove lo considerano un re, adesso farà qualcosa, ci pensa lui. No. Dare senza ricevere, un classico che non invecchia mai, scrive La Repubblica.
E la favola di Dybala inizia davvero con “c’era una volta”: c’era, non c’è, non al presente, non oggi. Sempre così quando si aspetta troppo: l’attesa del piacere etc, ecco, è meglio l’attesa del finale. E l’attesa può essere anche infinita. E amara.
Se la partita è solo tra l’entusiasmo di 60 mila persone felici perché Dybala ha detto ‘no’ all’Arabia e a svariati milioni e un Fazzini che è imprendibile, che si diverte in mezzo a una Roma che non ha il suo passo, spaccata, lenta, lunga, confusa in difesa, stordita dalla velocità dell’Empoli, il risultato è che il lieto fine è (per la Roma) un brutto finale. De Rossi in panchina è impotente, a fargli compagnia solo la fedelissima bottiglietta d’acqua, non lo aiuta nessun altro. Non lo ascolta nessuno in campo: la difesa è poco coraggiosa e non accorcia mai, ci sono troppi errori in fase di possesso, inquietante l’inconsistenza in attacco.
Il tecnico ha provato a cambiare nel secondo tempo, a mettersi a specchio con la difesa a tre: ma non è la serata di Dybala, non è la sua, non è la serata della Roma, il palo al 93’è simbolico, se non è favola, non c’è neanche il principe azzurro. «Nel calcio di oggi bisogna andar forte e devo essere bravo a scegliere chi va forte», il processo interno avviato da De Rossi.
Sull’altra panchina Sullo si agita, ma il suo allargare le braccia è nulla in confronto a quello che fa D’Aversa in tribuna per la squalifica (testata a Henry) che non gli ha fatto finire la stagione con il Lecce: invoca il cielo quando Gyasi si mangia il primo gol, quando Colombo prende il palo da un metro, ma smette di invocare entità superiori dopo la rete di Gyasi e il rigore di Colombo che l’Empoli si procura con una incosciente giocata di Paredes. In realtà D’Aversa non ha bisogno di urlare, la Roma è troppo brutta per sprecare la voce.
Neanche il gol di Shomurodov, ricomparso d’incanto per quegli strani giri del calciomercato che ripropongono gente dimenticata, lo preoccupa. E lo capisce quando al fischio finale di Zufferli ci sono solo fischi per una squadra incompiuta, inconcludente, a perenne caccia di un futuro che non arriva mai. Che sogna una favola, un bel “c’era una volta”. Una volta almeno, anche se una volta soltanto.
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