“La stessa che si abbatté sul Velodromo di Cesare Ligini all’Eur, ricorda, fatto saltare con i bagliori di una dinamite nel 2008. «Mi impegnai a fondo per salvare il Velodromo e per fronteggiare il vergognoso deliberato dei comitati tecnico-scientifici del ministero che ne sancirono la distruzione».
Ma forse non basta recriminare. Non era possibile fare di più per tutelare le tribune dell’ippodromo?
«A me è toccato gestire l’ingloriosa chiusura di una vicenda nata male. Il vincolo è stato riconosciuto come inapplicabile».
Inapplicabile? Perché? Quell’architettura non meritava protezione?
«Non si è fatta una valutazione sull’oggetto, ma purtroppo la procedura ha un vizio di fondo: nel 2014 la direzione regionale dei Beni culturali del Lazio ha fornito un parere sul progetto dello stadio che esaminava tanti aspetti dell’area, compreso un filare di alberi, ma senza neanche citare l’ippodromo».
Com’è possibile?
«Purtroppo è andata così. La direzione regionale ha raccolto il parere formulato dalla soprintendenza ai beni architettonici in cui l’ippodromo non era nominato e che confermava quanto la stessa soprintendenza aveva sostenuto nel 2011».
L’ippodromo era come se non esistesse?
«Non era considerato. Ma a questo vanno aggiunte le norme del 2013 che consentono la costruzione degli stadi, norme che di fatto stabiliscono che un parere dato su un progetto preliminare valgono quanto quelle date sul progetto definitivo. Il che vuol dire che quel via libera iniziale pesa tanto e che sulla base di quel via libera il costruttore ha fatto investimenti in questi anni».
E quindi?
«Con il vincolo si rischia una causa milionaria».
C’è chi contesta che quello fosse un via libera. Comunque si resta sconcertati di fronte all’incapacità del ministero dei Beni culturali di tutelare un oggetto d’architettura novecentesca che in tanti documenti della stesso ministero viene giudicato di grande pregio. O no?
«Non ho preso questa decisione a cuor leggero. È stata forse la più difficile della mia carriera. Ma non è tutto: la procedura di vincolo non tutelava il bene in sé, ma in quanto testimonianza di una stagione storica e culturale. Il che spinge la proprietà a proporre di demolire la tribuna sostituendola con la ricostruzione di una sua porzione, progettata dall’architetto Paolo Desideri, alla quale viene annesso un museo che documenta gli impianti sportivi realizzati negli anni Cinquanta e Sessanta».
Non è difficile immaginare che molte critiche verranno avanzate contro questa idea.
«Devo anche aggiungere che nella precedente riunione della Conferenza dei servizi, uno dei suoi membri, quello che rappresenta tutti gli uffici dello Stato centrale, compresa la soprintendenza, ha già fornito un parere positivo».
Sembra una commedia dell’assurdo.
«È evidente una grave impreparazione normativa per tutelare l’architettura del Novecento. Sapesse quanto ho faticato in passato per impedire la grave manipolazione di un altro edificio di Lafuente, quello della Esso. Inoltre non mi lascia per niente tranquillo sapere che, a causa della riforma Madia, nella Conferenza dei servizi che dà il parere definitivo, non si può ascoltare l’opinione delle soprintendenze».
Lei parla di “impreparazione normativa”. Qualcuno aggiungerebbe anche il caos creato dal via vai di modifiche imposte a Roma dalla riforma Franceschini.
«Se si riuscisse a conservare una soprintendenza unica per tutto il territorio della capitale, io ci metterei la firma».
Dunque lei si augura che il Consiglio di Stato confermi l’abolizione del Parco archeologico del Colosseo?
«Sono un funzionario dello Stato e non posso risponderle».
(La Repubblica)
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