(Il Messaggero – M. Ferretti) Un sorriso. Anzi, quel sorriso. Ecco cosa ci mancava di Patrik Schick. Più che di un suo gol, avevamo bisogno di vederlo felice. Sorridente, appunto. Perché con tutto quello che gli era capitato nella passata estate, e con tutti i flop infilati via via nei mesi successivi, il ragazzo ceco aveva smesso di esserlo. E noi con lui. Gli (ci) serviva un gol specie dopo aver fatto quella figuraccia con Dzeko, pochi giorni fa all’Olimpico contro il Genoa, per recuperare uno straccio di credibilità agli occhi di tutti. I suoi, in primis. Perché è netta la sensazione che Patrik abbia sofferto molto per quello che non riusciva a fare. Una sorta di vorrei ma non ci riesco elevato all’ennesima potenza. Una cosa inspiegabile, per molti versi.Possibile che sia impippito in maniera così clamorosa passando da Genova a Roma?Domanda lecita, variegate le risposte. E ognuna apparentemente corretta. Con un filo conduttore ben definito, almeno per chi non butta il cervello all’ammasso: Schick non è una pippa. E non è neppure un fuoriclasse adesso perchè ha segnato alla Spal, primo gol in campionato alla giornata numero 34 (raggiunto Brignoli, portiere del Benevento,nella classifica dei marcatori). Patrik è semplicemente un ragazzo che aveva bisogno di tornare a divertirsi, di buttare nel cestino dei rifiuti tutte le cose brutte che gli hanno fatto compagnia da quel giorno in cui gli dissero che aveva il cuore un po’ matto.
LO ZAINO SULLE SPALLE Quel giorno, Schick è diventato improvvisamente grande, con tutte le preoccupazioni degli adulti. Deve essere stato complicatissimo cominciare un’altra vita, in più lontano dalla serenità di Genova e immerso con tutto se stesso nel tritacarne della Capitale. Portandosi sulle spalle uno zaino pesante 42 milioni di euro. Deve esser stato faticosissimo giocare e non giocare, entrare e uscire senza che qualcuno si accorgesse della sua presenza. Facilissimo, invece, è stato perdere il sorriso, amplificare lo scetticismo dei suo detrattori, maledire lui e chi l’aveva portato alla Roma. Ecco perché la rete di Ferrara sembra, o potrebbe essere, tanta roba. Una promessa per il futuro, chissà. «Ho festeggiato con tutti i miei compagni, anche quelli della panchina, perché tutti mi sono stati vicini. Sul tiro di Nainggolan avrei voluto toccare il pallone, ma non ci sono riuscito: il gol è di Radja», ammette con candore. E, forse, è meglio così, perchè per cominciare gli serviva un gol vero, bello e pulito, non uno brutto e sporco
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