In 400 secondi, decimo in più, decimo in meno, la Roma a Vienna ha cancellato tutto quello che aveva costruito (e non) domenica passata ad Empoli. E cioè: zero gol al passivo e, a sorpresa, anche zero gol all’attivo. Raccapricciante l’abilità della squadra di Spalletti di non saper mantenere la propria porta inviolata: all’Austria Vienna è stato sufficiente un minuto e mezzo per far gol. Con una notevolissima compartecipazione degli uomini in maglia Fanta. Segno che quanto accaduto al Castellani, contro il peggior attacco d’Europa (sic…), è stato assolutamente casuale. E che la normalità, invece, è raccogliere sistematicamente il pallone in fondo alla propria porta. I dati che accompagnano la Roma in Europa, del resto, non ammettono dubbi: nelle ultime 18 trasferte, ad esempio, sempre almeno un gol al passivo. Beccato il gol, si è (ri)svegliato il miglior attacco italiano, e Dzeko e De Rossi hanno impiegato poco per ribaltare il risultato. Morale della favola: dopo appena 18 minuti di gara, tre gol. E pure un giallo inutile di De Rossi, rientrato dopo le tre giornate di squalifica per l’espulsione contro il Porto all’Olimpico.

Siamo alle solite, insomma. Roma in grado di fare un gol (almeno un gol…) a tutti e pure di prenderlo da chiunque. E il discorso, visto il risultato della partita di Vienna, può, anzi deve essere affrontato in maniera costruttiva. Perché considerato il potenziale offensivo della squadra di Spalletti, appare assurdo rischiare di non sfruttarlo al massimo, sperperando tutto quel ben di Dio. Possibile, ecco il punto, che non si riesca a far quadrare questo cerchio? Possibile che una partita senza gol al passivo diventi un Evento da tramandare ai nipotini? Possibile che la porta chiusa sia l’eccezione e quella aperta (spalancata…) invece la regola? No, non è possibile. Subire cinque reti in due partite dall’Austria Vienna, ne converrete, è un’impresa notevole. O no? Le assenze, ieri, forse hanno avuto un peso, ma dare (solo) la colpa alla scarsa concentrazione non è corretto. Gli errori in fila di Jesus, Alisson e Ruediger sulla prima rete austriaca dove li mettiamo? Continuare a battere (solo) su un deficit mentale (che, per forza di cose, dobbiamo pensare ci sia) significa voler nascondere il problema reale, il senso vero della faccenda. Non può esserci soltanto l’errata psicologia, in parole povere: il (basso) tasso tecnico gioca spesso un ruolo fondamentale. Ps: un pensiero e un carissimo saluto agli affiliati del gruppo “Dzeko è un Pippone”.

(Il Messaggero – M. Ferretti)



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