Il 4 marzo, era un venerdì sera e nell’Urbe già si pregustava il weekend, l’allora candidato sindaco del M5S, Virginia Raggi, dichiarò a Radio Radio: «Lo stadio della Roma lo facciamo da un’altra parte, a Tor Vergata e senza uffici, perché quella è speculazione edilizia e poi noi abbiamo già le torri dell’Eur che sono vuote e lo Sdo da riempire». Al di là della questione due torri e Sdo (che meriterebbe capitolo chiarificatore a sé), un’ottima intervistatrice incalzò la Raggi chiedendole se era disposta a spingersi fino a revocare la pubblica utilità dell’opera. Risposta: «Sicuramente sì, la revocheremo».

INEQUIVOCABILE – In campagna elettorale vale tutto (Raggi promise anche un referendum sulle Olimpiadi, o di azzerare i vertici di Acea). Sennonché una nostra ottima fonte in Campidoglio ci dice che ci sono molti problemi sullo stadio della Roma, «anche questo è un dossier che rischia molto». Testuale. Dopo le Olimpiadi, può succedere lo stesso allo stadio della Roma? Le storie sono diverse, e a un diverso livello di avanzamento. Di sicuro però la giunta sta per iniziare un braccio di ferro serrato, nella conferenza dei servizi in Regione, per chiedere alcune modifiche rilevanti. Talmente rilevanti, c’è chi ipotizza, da risultare impossibili: la legge 147 del 2013 (comma 304, lettera b) autorizza eventuali modifiche al progetto già approvato solo se «strettamente necessarie». Dunque non consente stravolgimenti dell’opera. Per di più esiste una delibera votata dal Comune (nella gestione Marino, la delibera è la 132, del 22 dicembre 2014), il che significa che per cambiare progetto, o bloccarlo del tutto, occorrerebbe non una mozione, ma una nuova delibera che revochi la pubblica utilità. Un atto politico fortissimo. La Raggi può spingersi a questo? Alcune spie, inutile far finta di niente, ci sono. Oltre alla nostra fonte qualificata, c’è poi l’assessore Paolo Berdini, che oggi dice: lo stadio «è una grande opera e andrà rivista sotto il profilo della sostenibilità economica e urbanistica di una città che ha 13,5 miliardi di deficit». A precisa domanda, è lapidario: non è detto che lo stadio si faccia «perché l’aula capitolina dovrà confermare l’interesse pubblico a costruire un milione di metri cubi di cemento che in realtà è nell’interesse degli operatori che propongono l’impianto. Sarebbe meglio tornare a prevedere la realizzazione solo e soltanto di uno stadio». La stessissima tesi della Raggi in campagna elettorale, ma pronunciata adesso. Dall’uomo che è succeduto, all’Urbanistica, all’ottimo Giovanni Caudo.

L’AS ROMA OSTENTA OTTIMISMO – Anche se ieri il presidente James Pallotta, smentendo la notizia di una cessione del 40% a investitori asiatici, ha però spiegato che un nuovo investitore servirà, per finanziare la costruzione del nuovo stadio. La variante urbanistica figlia della delibera del 2014 deve andare in consiglio, tecnicamente, solo per essere ratificata. Raggi avrebbe due mesi di tempo per intervenire: non sono moltissimi. Il progetto finale uscirebbe dalla Conferenza dei Servizi il 5 febbraio. Sono poi già stati spesi 60 milioni, per un progetto che – comunque lo si giudichi – ha coinvolto 50 studi, tra cui Daniel Libeskind e Dan Meis: se saltasse, la società potrebbe fare causa al Comune e c’è chi stima il danno in oltre due miliardi (mancati introiti, perdita di diritti d’immagine per servizi che la società sta già finanziando). Cosa può chiedere di cambiare la Raggi, posti questi strettissimi paletti? O vuole chiedere la luna per rovesciare il tavolo? Le cubature attuali (977 mila metri quadri), possono esser ridotte di 7-8 mila: poco. Il M5S può invece percorrere un’altra via, chiedere di aumentare il costo delle opere pubbliche, ottenendo ancora più oneri, già non pochi, a dire il vero, a vantaggio del Comune. La richiesta più importante sarebbe: continuare l’unificazione e l’allargameto della via del Mare, non solo fino allo stadio (valore 38 milioni), ma fino alla fermata metro di Marconi (altri 35 milioni in più). Magari, anche ottenere più denari per l’acquisto di 10-12 treni da destinare alla Roma-Lido. Berdini però sembra alludere totalmente ad altro: fare solo lo stadio significherebbe stravolgere molto più della metà del progetto, che è come chiedere di farlo saltare. Un progetto che, per estensione, è solo per il 12% stadio, per il 54% un parco, per il 26% strade, per l’8% torri (di Libeskind, non proprio di palazzinari). E in cui, come volumi, il 78% è a uso pubblico: tra stadio, Trigoria, negozi, strade, torri, parcheggi, centro commerciale. Un grosso intralcio a stoppare lo stadio, per la Raggi, è «politico»: a Roma due terzi di persone tifano Roma; un milioni di elettori potenziali, o agnostici, o favorevoli allo stadio. Un grosso aiuto indiretto sarebbe, stavolta, proprio nei leggendari poteri: bloccare un’opera nata fuori dai circuiti di Caltagirone non significa esattamente metterselo contro.

(La Stampa – J. Iacoboni)



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