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Rassegna stampa

Rocca: “Infortuni? Non è mai sfortuna ma solo incompetenza”

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NOTIZIE AS ROMA ROCCA – Francesco Rocca il suo calvario lo ha vissuto nel 1976 all’età di 22 anni, quando i medici non lo hanno preservato da un brutto infortunio lasciandolo giocare anche in Nazionale. Una serie di errori che gli sono costati la carriera e lo hanno portato a dedicare gli anni successivi allo studio della «macchina umana». A distanza di 44 anni è Nicolò Zaniolo a vivere momenti di sofferenza e frustrazione.

Che idea si è fatto rivedendo la dinamica dell’infortunio?
«Per prima cosa gli faccio un in bocca al lupo sperando che possa ritornare a vivere la gioia dei suoi 20 anni. Ho capito della gravità dell’episodio quando si è messo le mani tra i capelli perché quel gesto è sinonimo di dolore fortissimo come il distacco del legamento crociato, dato che lui già l’aveva subito». 

Due crociati in otto mesi, qualcosa si poteva fare meglio?
«Non entro nel merito di quello che fanno gli altri. Io ho una concezione del metodo basata su dati scientifici e sull’esperienza personale che è sempre stata volta al non far accadere ad altri quello che è successo a me. Infatti in 30 anni di professione non ho mai avuto un giocatore infortunato». 

Quindi non è solo sfortuna? 
«La sfortuna è un concetto astratto. Quando uno è sfortunato è frutto dell’ignoranza e dell’incompetenza di chi ha gestito la situazione. E i danni sono devastanti». 

Come si gestisce la lesione del crociato? 
«Lo valuteranno medici e preparatori, a me dispiace che il ragazzo dovrà vedere la vita con occhi diversi. La struttura anatomica non sarà più la stessa. Il legamento è riaggiustato e dovrà fare sacrifici enormi per tornare al livello attuale».

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La sua struttura muscolare ha influito sull’infortunio? 
«È un concetto che porto avanti da 30 anni. Il potenziamento del quadricipite porta a un’alterazione del rapporto di equilibrio tra i legamenti e la potenza del quadricipite stesso. Perché se si aumenta la potenza di un muscolo, teoricamente bisogna potenziare le strutture che lo sorreggono, quindi, i legamenti e le capsule articolari. Siccome questo non avviene, il rischio è che il potenziamento a gioco lungo possa danneggiare le strutture». 

Un problema del calcio moderno? 
«Il metodo di lavoro è determinante in riferimento al risultato del funzionamento della macchina umana. A causa di errori medici sono rimasto con la zoppia per tutta la vita. Lì c’era gente che sapeva che non potevo più giocare e io non ero carne da macello, come invece sono stato».

Anche Zaniolo rischia di diventare carne da macello?
«Non lo so. Essere professionisti significa avere la coscienza che gli errori possono ricadere sui giovani per tutta la vita. E questo è un fatto di etica e morale dello sport».

Il suo metodo è applicato in Serie A? 
«Ho migliorato la mia cultura con lo studio scientifico, stilando un metodo di lavoro che mi ha consentito in tutti questi anni di non far male a nessuno. Per giudicare un lavoro devo vedere quello che fanno tutti i giorni, ma il mio giudizio è legato alla responsabilità diretta. Se sbagli è giusto che paghi. Perché un mio errore può portare dolore e tristezza ad altre persone».

Quali sono i doveri di un allenatore?
«Deve fare felici la proprietà perché investe dei soldi, gli atleti perché investono la loro vita per far sì che non gli succeda nulla pur mantenendo il 100% delle loro potenzialità e i tifosi che pagano».

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Qual è la preparazione ideale pre-campionato?
«Deve durare 40 giorni, ma fondamentale è il contenuto. E questo è un segreto professionale, frutto di studio, lavoro e soprattutto di valutazioni rispetto alle esigenze personali».

È vero che ai giocatori non va di allenarsi?
«Non è assolutamente vero, i giocatori hanno tutto l’interesse ad allenarsi e far sì che il loro corpo giri a mille per almeno 15/20 anni. Sanno bene che meglio si allenano, più durano e più guadagnano. Lo sport ha regole immortali e non cambieranno mai». 

Zaniolo è stato bersaglio dei tifosi della Lazio, come lo è stato lei a suo tempo. Che cosa gli consiglia?
«Io ho sempre perdonato. Gli direi di soprassedere e pensare a tornare quello di prima perché ne varrà della vita. Non darei mai spazio alle contestazioni che fanno parte del gioco».

(Il Messaggero – G. Lengua)

FOTO: Credits by Shutterstock.com

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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