Sono 164 in 6 anni. Media, circa 27 all’anno. E’ il numero di transazioni principali, escludendo dunque gran parte dei prestiti (e ritorno), che la Roma americana ha messo in moto nella sua gestione tra acquisti e cessioni. Una società sempre attiva, in entrata e in uscita, alla ricerca di un autofinanziamento che possa consentire, compatibilmente con i paletti del fair play finanziario e l’indebitamento ereditato nel 2011, di essere sufficientemente competitivi e di sistemare il bilancio.
MOVIMENTI – Anche in questa finestra trasferimenti, la Roma ha completato 26 operazioni importanti. Non considerando gli acquisti di El Shaarawy e Rüdiger, che risalgono di fatto all’annata precedente, ma contando i brasiliani Alisson e Gerson, che nella scorsa stagione non potevano essere inseriti nella rosa. E’ un giro d’affari che si aggira sui 120 milioni di euro, stipendi esclusi.
QUALITA’ – Numericamente, la Roma si è assestata sui livelli dell’estate 2015. Ha perso un centrocampista (via Pjanic, Keita e Vainqueur, dentro Paredes e Gerson) e ha ribaltato la difesa senza alterare la quantità di risorse (out De Sanctis, Maicon, Torosidis, Zukanovic, Gyomber, Castan, Digne; in Alisson, Bruno Peres, Fazio, Vermaelen, Juan Jesus, Mario Rui, Seck). In attacco si è scelto di fare qualche ritocco, come la sostituzione tra Iago Falque e Iturbe, nell’ottica di valorizzazione dei giocatori disponibili e del rinnovo del contratto di Totti. Se poi la qualità è cresciuta o peggiorata, lo dirà il campo. Ma i motivi per i quali la Roma non può confrontarsi con realtà finanziariamente superiori, almeno negli investimenti, è stata spiegata ieri mattina dal direttore generale Baldissoni: «Un’occasione per aumentare i ricavi sarà lo stadio di proprietà – ha detto a Teleradiostereo – Citando alcune stime: l’Emirates ha incrementato del 111% i ricavi dell’Arsenal, lo Stadium del 175% per la Juventus. I ricavi vengono usati per ricoprire i costi e per la squadra. Finora noi non siamo stati a guardare e i giocatori che fanno parte della rosa non sono certamente di secondo piano. Ma è chiaro che lo stadio è un acceleratore per i ricavi e favorisce lo sviluppo tecnico di un club di calcio». Tradotto: la Roma continuerà ad avvalersi del cosiddetto trading (cessioni e acquisti) in ogni sessione di mercato finché non avrà raggiunto una stabilità economica tale da renderla “libera” dalla vendita dei calciatori.
MASSIMO E MINIMO – Nei sei anni americani, di cui cinque governati in prima persona dal presidente Pallotta, Sabatini ha incassato la cifra più alta in assoluto dalla cessione di Erik Lamela al Tottenham (il cui dg era Franco Baldini, prima e dopo legato da rapporti con la Roma) nell’estate 2013: 30 milioni più 5 di bonus, non tutti concretizzatisi. La plusvalenza di cui invece il ds va più fiero riguarda il brasiliano Marquinhos: acquistato per meno di 5 milioni, è stato ceduto l’anno dopo al Psg per sei volte tanto. L’acquisto più caro invece rimane Juan Manuel Iturbe, costato 22 milioni per il trasferimento più una percentuale consistente di bonus e commissioni che lo hanno portato a una base di 24. La Roma ha recuperato qualcosa attraverso la cessione in prestito al Bournemouth nel gennaio scorso ma è chiaramente ancora in… credito con il ragazzo. Da notare, su Iturbe, lo sfogo del presidente del Lione Aulas: «Alle 16 del 31 agosto la Roma ha detto di sì; alle 19.30 Iturbe ha detto di sì; Alle 20 la Roma ha cambiato idea. Imbarazzante». Situazione simile si era verificata l’estate scorsa con il Genoa. Molto più redditizio è stato Miralem Pjanic, al di là della controversa conclusione del rapporto con la Roma: pagato 11 milioni nel 2011, è stato per cinque anni un pilastro tecnico della squadra e poche settimane fa ha fruttato 32 milioni, con plusvalenza da capogiro che ha finanziato quasi tutta la campagna acquisti estiva scongiurando le cessioni di Nainggolan e Manolas.
(Corriere dello Sport – R. Maida)
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