Guardando Inter-Sassuolo, domenica scorsa all’ora di pranzo, è venuto quasi automatico pensare alla Roma. Perché, oggi, Inter, Sassuolo e Roma sembrano legate da un filo comune. Osservando la pochezza della squadra nerazzurra, ad esempio, c’è venuto in mente Walter Sabatini e, non a caso, pure Luciano Spalletti. Il nuovo capoditutto della Suning non dovrà faticare più di tanto per migliorare l’attuale rendimento della Beneamata: ecco la nostra riflessione, dopo la sua quarta sconfitta di fila. Compito facilitato, insomma, perché un conto è migliorare una squadra forte e un altro, molto diverso, una sprovveduta tatticamente. E così abbiamo pensato anche a quanto potrebbe essere facile il lavoro di Lucio, qualora lasciasse la Roma e venisse chiamato dall’amico Walter al capezzale della squadra nerazzurra. Lui, del resto, l’ha affermato pubblicamente alla vigilia della partita con la Juve («Io ancora con Sabatini? Perché no…») e, dunque, non ci sarebbe alcuna sorpresa. E il Sassuolo che c’entra? C’entra, c’entra… E non solo perché è una squadra carica di (ex) romanisti. Il pensiero è andato a Eusebio Di Francesco, indicato da più parti come uno dei possibili/probabili sostituiti di Spalletti sulla panchina della Roma («Può darsi che stia trattando con la Roma», ha dichiarato ieri Carnevali, dg emiliano), specie dopo il Io resto al Milan di Vincenzo Montella. Di Francesco è un bravo tecnico (non serviva il successo sull’Inter per averne conferma) e una persona per bene: chissà se questo gli basterà per tornare nella Capitale, non più come collaboratore di Lucio (era il suo dirigente accompagnatore).
DIFRANCESCHI DEL PASSATO Resta da capire, però, che cosa va cercando realmente la Roma, cioè il tandem Monchi-Baldini. Di Francesco sarebbe una mezza scommessa, certo, se paragonato a Emery, Valverde, Pochettino e via dicendo ma la forza di un tecnico è figlia anche/soprattutto della forza della società. Monchi, per dirne una, nel 2013 portò Emery al Siviglia dopo che il basco era stato esonerato dallo Spartak Mosca, non dopo la vittoria della Champions: se uno si fida, insomma, si fida al di là di tutto. E un discorso simile vale per tutti i difranceschi sparsi in Italia e nel mondo. Del resto, visto che con i big (o presunti tali) della panchina la Roma dal 2008 non ha più vinto nulla (sì, nulla!), forse ci si potrebbe provare con allenatori normali. Tipo il provinciale Max Allegri, nell’estate del 2010 portato al Milan da Cagliari, e campione d’Italia al primo tentativo (con Ibrahimovic). O il tutarolo Maurizio Sarri, da Empoli a Napoli per continuare a dare spettacolo (con Higuain). Come Antonio Conte, che la Juventus nel 2011 piazzò in panchina dopo essere arrivato secondo in Serie B con il Siena. E fu subito scudetto (con Pirlo). E pure come lo Spalletti che la Roma, nel 2005, prelevò da Udine, ricordate? Per produrre gran calcio (con Totti). Serve coraggio. E serve una società forte, pronta a difendere il proprio allenatore. Oltre che a comprare giocatori di valore reale. Perché i trofei, si sa, si vincono con i grandi giocatori bene allenati.
(Il Messaggero – M. Ferretti)
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